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Wikileaks o “s’elli è meglio essere amato che temuto”

Da La Masnada n.94:

Wikileaks o “s’elli è meglio essere amato che temuto”

E' il caso mediatico/politico del 2010: Wikileaks sta scuotendo le relazioni diplomatiche americane più di un missile iraniano. Eppure il sito di Julian Assange ha solo pubblicato milioni di mail tra ambasciate e funzionari, nelle quali alleati e nemici, informazioni riservate vengono fuori sottoforma di commenti impietosi. Informazioni acquisite violando i sistemi di mailing istituzionali o grazie a talpe dall'interno.
Ma ciò che preoccupa non sono i contenuti. Nessuno di noi si è stupito delle boutades con le quali si definiscono Putin, Sarkò o i più corrotti presidenti africani... addirittura sul nostro B non ci si può neanche appellare alla diffamazione: festini e amicizie pericolose del premier non sono una novità per la nostra Italietta! Ciò che fa paura non è ciò che si dice in quelle mail, ma che lo si dica.
Wikileaks ha annullato le distanze tra il palazzo, anzi tra i segreti del palazzo, e il popolo. Potenza della comunicazione e della libertà di espressione: ora quel materiale non è solo sceneggiatura dell'ultimo Jason Bourne, non è più fantomatica cospirazione imperiale.
Il merito di Wikileaks non è di aver rivelato il Vangelo al mondo, ma aver denudato Cesare. E il potere è rimasto interdetto, gli USA hanno richiesto l'estradizione per Assange. Ancora non si sa per quale reato, probabilmente per attentato alla sicurezza nazionale.
Infatti la cosiddetta diplomazia segreta è quanto di più intimo ha il potere sovrano di uno stato, rivelarne i contenuti è come confessare pensieri peccaminosi alla moglie di qualcuno. Di fronte al fattaccio bisogna che uno stato impartisca una lezione: colpirne uno per educarne cento. Finora i tentennamenti degli USA rientrano in un classico dilemma machiavelliano: “s’elli [il potere] è meglio essere amato che temuto, o e converso”1. È opportuno che una richiesta di limitazione della libertà d'espressione venga proprio dalla terra delle libertà? “Respondesi, che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma, perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto piú sicuro essere temuto che amato”2. Perciò Assange e Wikileaks devono pagare soprattutto perchè il potere sia sempre temuto.
Ma, come avviene in tutti i casi in cui il potere vuole far paura, c'è un movimento eguale e contrario. Anonymous, un'associazione di hacker, ha attaccato tutti coloro che si sono schierati contro Assange. “La libertà d'espressione non ha prezzo, per tutto il resto c'è Mastercard” compariva sulla homepage del colosso finanziario che ha bloccato le donazioni dei sostenitori a Wikileaks che ora deve affrontare migliaia di processi.
Questo mostra un parallelismo storico tra gli hacker e i pirati del XVI sec.: gli avventurieri e liberi pensatori alleggerivano allora gli imperi coloniali per finanziare la loro libertà, gli hacker attaccano le superpotenze per sostenere la libertà. E proprio come le potenze coloniali di allora, i governi di oggi devono affondare il capovascello.
Ma ciò che è cambiato è il campo di battaglia: non più i mari dei Caraibi ma l'intero cyberspazio; ormai quei “tesori” sono in mano ai pirati che li faranno circolare, li seppelliranno in server segreti e verranno continuamente fuori. E potenzialmente ognuno di noi può essere imbarcato: Anonymous trasforma con un programma pirata le connessioni di ognuno in attacchi simultanei che saturano i siti target, procurando danni per milioni di dollari. Mentre i pirati appaiono oggi dei romantici avventurieri con al massimo qualche cannone, gli hacker hanno un potenziale tecnologico (e di consenso) elevatissimo. Per di più usano tecniche di guerrilla, si mimetizzano tra le pieghe dell'impero, trasformano in arma ogni strumento, debilitano il potere nei suoi nodi strategici. Da loro dipende la tenuta del sistema, loro sono i rivoluzionari del nuovo millennio? C'è chi li teme, qualcuno comincia ad amarli.

Antonio Borelli

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Commento da Antonio Borelli su 3 Gennaio 2011 a 19:34

Per saperne di più:

Wikirebels - il documentario

da Il Fatto Quotidiano.

 

Wikirebels, il documentario

“Democrazia senza trasparenza è solo una parola vuota”. Queste parole dette da Kristinn Hrafnsson, uno dei portavoce di Wikileaks, rappresentano bene il manifesto dell’organizzazione fondata da Julian Assange. Ora la loro epopea è finalmente raccontata in un reportage:
“Wikirebels”, realizzato dalla televisione svedese Svt. Dall’estate 2010
fino ai primi giorni di dicembre, i reporter Jesper Huor e Bosse Lindquist hanno
seguito Assange in giro per il mondo in tutti i paesi in cui Wikileaks
porta avanti le sue operazione strategiche. I due cronisti hanno
intervistato i top leader dell’organizzazione, compreso Daniel Domscheit-Berg che
dopo un lungo periodo di lavoro a fianco di Assange, in polemica con
lui ha ora lanciato un sito gemello: openleaks.org. Quali sono gli scopi
di Wikileaks? quali le conseguenze sull’informazione mondiale della
pubblicazione di migliaia di cabli? chi è Assange: un campione della
libertà, una spia o uno stupratore? Wikirebels risponde a tutte queste
domande e ci porta sul terreno ancora caldo dei wiki-scoop: con uno
straordinario lavoro giornalistico dà voce anche alle vittime, come i
parenti dei civili iracheni rimasti uccisi dell’attacco mortale di un
elicottero americano, un episodio diventato noto grazie al video
“Collateral Murder” messo in rete proprio da Wikileaks.

Il film è stato diviso in tre parti

“La nascita dei Wikirebels” con un racconto delle rivelazioni che hanno dato al sito una ribalta mondiale

 

 

“Guerra e altri orrori” con le terribili immagini e testimonianze dall’Iraq e numerose riflessioni sull’informazioni di guerra ai tempi di Internet

 

“Caccia al soldato Assange” con le divisioni interne all’organizzazione, la caccia all’uomo scatenata dai governi di mezzo mondo, le accuse di stupro, l’ “ideologia” che muove l’hacker
australiano

 

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