L'AltraSersale

Un nuovo modo di essere comunità. Un mondo nuovo.

Ormai è deciso. Purtroppo.
Dopo quasi dieci anni abbandono Napoli. Una scelta che equivale non a voltare una pagina, ma chiudere un libro... per iniziare a leggerne un altro.
Non so per quale strana coincidenza, quando decido di lasciare Napoli la lascio sempre sotto cumuli e montagne di monnezza. Anche nel 2007, quando chiusi in un pacco le mie sudate carte univeristarie c'erano i primi segnali dell'emergenza rifiuti... quell'emergenza che costò il governo alla sinistra. E su quella monnezza Berlusconi costruì il suo governo: un potere costruito sulla monnezza deve per forza finire in monnezza. Da questo punto di vista Napoli ha sempre generato dalla porcheria grandi esperienze e nelle discariche li ha sepolti.
Ma quello che più conta oggi non sono le sorti di governi e leader, quanto il fatto che sotto quella monnezza c'è una città che ha rappresentato molto per me sul piano fisico, umano, culturale. Probabilmente, come ho scritto qualche anno fa, se non avessi vissuto Napoli (già, perchè non si vive a Napoli, ma si vive Napoli!) non sarei ciò che sono oggi... e non necessariamente il risultato potrebbe apparire confortante!

Sotto a quei sacchetti, sotto la coltre di diossina che ammorba l'aria esiste un mondo le cui sfumature sembrano incomprensibili, inconciliabili al nostro bel mondo occidentale, c'è un miscuglio di umori e miasmi che racconta di un'umanità 'strana', differente, curiosa e dannatamente intrigante. A me non interessa qui fare un ritratto nostalgico di Napoli, ma semplicemente dire che per me non è solo monnezza.
Non è solo monnezza perchè Napoli

È un mostro metropolitano intrappolato tra il Vesuvio e il mare.
È un caos insolubile di auto e clacson che inciampano nelle strade sconnesse. È un vigile urbano che cerca in tutti i modi, leciti e illeciti di smaltire il traffico.
È un marasma amministrativo. Scorazzare tra i motorini e i vicoli per scoprire dov'è il tuo primo giorno di università, che smarrimento.
Ma è anche un mondo accademico e studentesco particolare. Fare scienze politiche - disciplina per cui non esiste professione e quindi si è etichettati come sfaccendati - all'Orientale per uno che a stento masticava un po' di politica non ha prezzo. Con quel patrimonio di conoscenze ed esperienze sono stato in grado di affrontare tutto: l'estero, i primi lavori, ciò per cui non ero predisposto... eppure ce l'ho fatta, quindi forse non è solo baronie e consorterie.
È lo sconforto di cercare una casa. Catapecchie e condizioni abitative fuori dal diritto in “quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi”. Eppure lì c'è sempre qualcuno disposto a includerti nella sua famiglia. Possono essere invadenti, però ti vogliono bene da subito.
È l'irragionevole senso di casa che ti dà un vicolo sporco in una città in cui l'incertezza impasta le mura come riempie la pancia del vulcano: il profumo di estremamente pulito che viene fuori dai bassi, proprio mentre scaricano per strada tonnellate di sporcizie.
È la curiosità di capire cosa ci trovano a starsene per strada giorno e notte: si mangia, si commercia, si spaccia e si vive per strada. Là dove il gioco delle tre carte, summa di tutte le truffe artistiche di questa città, lascia il posto al tressette a volo giocato sulle ginocchia.
È l'insistenza ossessiva del venditore, venditore di tutto (dai calzini ai reni di sua mamma, tutta merce ricettata e di dubbia origine), quello che accampa qualsiasi scusa pur di vendere: “teng 'na figlia, sto cercando di guadagnare onestament, teness na cos e spicc, n'evr ppe nu cafè... almeno na sigarett?” è questo il copione della supplica. Ma anche la condivisione disperata e teatrale dei propri affanni: al bar puoi ascoltare la vita di un perfetto sconosciuto e sentirti intimamente solidale con lui, come se fosse tuo fratello.
È l'istinto selvaggio dei piccoli roditori trasferito a milioni di uomini, ognuno con la sua piccola storia portata in giro sul motorino. Dove vanno tutti quei disoccupati? E tutti questi adolescenti, migliaia di adolescenti portatori sani di testosterone? Naturlamente scendono dalle periferie più degradate a cercare glorie sul lungomare, lì dove tutti stanno in vetrina, dove sfoggiano il loro capo griffatocontraffatto e dove possono vantare la loro guapperia, la loro capacità di penetrare i gangli dell'economia criminale, non potendo accedere a quelli dell'economia ufficiale.
Senza sarebbero dei comuni morti di fame. Lì comprendi che c'è una resistenza inconsapevole, biopolitica, alle logiche orribili dell'esclusione, dell'emarginazione sociale tipiche del consumismo capitalista.
È quella irrefrenabile loro vitalità: troppo traffico, urla scomposte, caos, musica a tutto volume; nessun rispetto per niente, eppure mai nessuno che non saluti, che non ti rivolga la parola dal fruttivendolo. Che non sia pronto a darti una mano, anche se spesso è per darsi una mano loro!
È la poesia di alcune espressioni, dell'intima filosofia di vita che apprendi quando ci vivi: non si può capire Napoli se si è solo turisti.
Se non ci vivi non impari a percepire nel rumore di fondo di motorini e clacson, quello che è in corsa per fare lo scippo o quello che potrebbe ucciderti. Non comprendi, nello slang che deforma le madibole dei più rozzi, la minaccia o la battuta. Non comprenderai mai perchè col rosso si passa e col verde bisogna stare accorti, mai passare sulle strisce piuttosto buttarsi per strada; dopo tanti anni ho capito: i napoletani sono insofferenti per le regole, l'imposizione e la protervia dell'autorità, perciò il vostro diritto di passare sulle strisce è una prevaricazione sul loro diritto di sfrecciare... se invece ti butti e chiedi di passare ti sarà concesso con incomprensibile generosità. Ma allo stesso tempo i napoletani adorano tiranni, dittatori, camorristi e regnanti... salvo poi che li buttano giù alla prima occasione.
È la ritualità di alcune cose, il sapore unico del babbà in Galleria, della pizza ai Tribunali; della zeppola di San Giuseppe; l'odore aspro dei sottaceti per l'insalata di rinforzo a Natale. Il fetore del pesce venduto in sfregio di qualsiasi normativa a Porta Nolana, dove si affolla il via vai di Natale a caccia de o' capitone, dove si mescola tutta l'umanità partenopea: ukraini con nigeriani, napoletani e cingalesi, polacchi e cinesi.
È Piazza Garibaldi, porta del villaggio globale: etnie di ogni dove che convivono e si scontrano, che occupano spazi fetidi; dove i rumeni condividono il loro alcolismo coi tossici, dove i cirrotici e fumatori cronici svuotano i loro coglioni con puttane dall'età e provenienza incognita. Dove arzilli vecchietti passeggiano innamorati della signora polacca, matrura e sformata dalle pizzefritte. Dove ogni genere di traffico e spaccio non si distingue dal commercio. Dove il cantiere eterno sospende tutti in un presente che non ha passato e che non conosce futuro. Dove i treni scaricano provinciali e professionisti, manager e studenti, tutti che si accalcano e si mescolano, si scambiano i fiati e le puzze negli autobus sovraffollatti o nella metro lurida, che non passerà mai.
È l'ardire ingegneristico della metro, la potenza inespressa del numero, è l'alta velocità accanto al ritardo cronico, il disservizio col sottofondo di “paninibirrecocaacqua”. È l'architettura sovrapposta eppure mai inconciliabile del barocco e del moderno, dell'arte contemporanea piazzata nei vicoli sporchi, la pianta romana e le culture pagane. Sembra un esperimento urbanistico mal riuscito, ma indicibilmente bello. La bellezza dell'inferno.
La devozione delle centomila chiese e il culto pagano del gioco del lotto. 'O miracolo del sangue di San Gennaro – un santo a cui puoi chiedere qualsiasi grazia: che ti dia un terno o che scacci la peste, che tolga la monnezza o che la rapina vada a buon fine – a cui non ho mai assistito perchè mi hanno detto che se c'è qualcuno che non ci crede non si scioglie... chè vuoi essere responsabile della catastrofe sociale. C'è gente che da quel miracolo si aspetta una nuova vita. È la speranza mai abbandonata nella disperazione più nera. La superstizione che scandisce la vita.
È la capacità di vedere sempre il lato positivo o comico, anche quando non c'è nulla da ridere e quando tutto va allo scatafascio.
Qui si è incrinato il mio impianto razionale: passione e fatalismo, irrazionalità e relativismo ora sono variabili altrettanto considerate nella spiegazione della mia quotidiantà.
È la bellezza e il fascino carnale, quasi esoterico che hanno alcuni luoghi: i vicoli e i monumenti che parlano sia del popolo che dei potenti, sia dell'umiltà che del fasto. Della grande storia dei millenni e della piccola vicenda della popolana, della vasciarola, della vajassa, dell'acquafrescaio, del trans, del corriere della droga. Una cartolina (quella col Vesuvio fumante che domina il golfo), riconosciuta in tutto il mondo più del Colosseo, concessa a tutti, ricchi e poveri. La sofferenza per lo sfregio alla bellezza che si fa con il traffico, l'incuria, l'abbandono, l'abusivismo, il vandalismo, la monnezza. È piazza Plebiscito sommersa dai rifiuti, per intenderci. È il museo chiuso per mancanza di fondi, è Palazzo Reale coi vetri rotti dalle pallonate, è la villa chiusa a causa dei tossici, sono i cani portati a cagare ovunque. È la carta sporca e "nisciuno se ne 'mporta".
È l'arte diffusa di complicare la cucina contadina: è fagioli e cozze, è friarielli e salsiccia. Non solo pizza sole e mandolino. È la birra e taralli a Mergellina. La frittatina di maccheroni per le vie del centro, la sfogliatella. Il caffè: un rituale fatto di leggende e prassi obbligate.
È la potenzialità dell'economia, della politica e della cultura. Napoli è stata capitale di un regno e meriterebbe di essere capitale anche oggi. Qui sono venuti fuori importanti laboratori politici, eccellenze economiche ed economie di rapina come quelle dei casalesi. L'eccellenza dei trasporti e l'economia criminale della monnezza. Qui si produce sempre, anche quando si canta.
È il neomelodico e la new wave italiana, è l'assolutamente retrogrado che viene fuori dalla storia della musica mondiale. Ma anche l'incomprensibilmente nuovo che la musica mondiale scarica nell'underground delle periferie. È teatro della strada e il San Carlo.
"È tutto nu suonn e 'o sape tutt o munn, ma nun sape a verità".
È la possibilità di vedere la bellezza accanto allo squallore. Le donne rese belle da un miscuglio millenario di razze e popoli e quelle sformate dalla loro condizione, dal fumo e dalla vita dei quartieri. La gentilezza espressa in note baritonali dai trans nell'alimentari sottocasa, la bestemmia e l'imprecazione incomprensibile urlata da palazzo a palazzo. È la bellezza sboccata delle vasciarole e la finezza e delicatezza, l'educazione che si impara nei bassi. È la criminalità e la bontà, la generosità e il t'agg a fottere. È chiagnere e fottere e il genio comico, artistico, imprenditoriale.
È Maradona e l'importanza del calcio nell'equilibrio sociale della settimana. Se il Napoli vince stiamo bene tutta la settimana. Una sconfitta è una cataclisma. È l'estasi mistica che mescola il sudore con l'incenso.
È vivere tutto e subito. Prendere il meglio e il peggio tutti insieme. È l'eccesso in ogni cosa.


È “vid Napule e po' more”.
Ed oggi muore una parte di me.

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