L'AltraSersale

Un nuovo modo di essere comunità. Un mondo nuovo.



Appena fuori, a Stansted (provincia di Caserta), già ti rendi conto di quello che è Londra: la meta dei fighetti italiani provincialoni con la convinzione di esser li per imparare un'altra lingua. Nel mio ultimo viaggio (ultima tappa del Tour of the Universe 2009), mi sono convinto che Londra non fa per me; l'Inghilterra non fa per me e forse Giulio Cesare o l'Invincible Armada avrebbero fatto bene a concludere la missione.

Dicevo, davanti all'aeroporto di Stansted mi ritrovo italiani da ogni angolo di provincia: ci sono gli stralunati erasmus e corsisti o quelli in vacanza, ma soprattutto ci sono gli addetti di Terravision! "Viktoria Stesciòn. PLEASE" - che mi dici a fare 'please' se me lo urli come un agente antisommossa?! ma poi scopro che è lo sclero della reiterazione di gesti non partecipati, alienazione da lavoro salariato, a spingere cassiere, farmacisti e "facilitatori" per bus, metro, informazioni a urlare come dei disperati il loro "NEXT, PLEASE". Curiosità sociologica: non si è ancora capito come mai gli addetti di Terravision devono essere necessariamente punkabbestia. Ho capito che serve che siano italiani perchè noi italiani non ce la caviamo bene con le file, le code, le attese e le precedenze, siamo dei disutrbatori dell'ordine sociale e senza ordine la società inglese scricchiola. Ma il ruolo del punkabbestia (un enfant prodige per i suoi genitori, suppongo) rimane un mistero, quasi come i Falchi a Napoli.

Comunque prendo questo bus Terravision e scendo a Victoria Station, il percorso è segnato da una maniacale cura della natura: praticamente non esiste più la wilderness, la selvaggitudine, della natura; è tutto tosato, piantato, schematico e regolare. Le autostrade hanno perfino i tulipani piantati ai bordi. A parte l'impressione di schiantarsi con gente che sembra non avere senso delle distanze perchè guida al contrario, il viaggio è breve e ho modo di fissare le 3-4 varietà di mattoncini che caratterizzano le case.
Appena sceso a Victoria mi investe la consueta zaffata di caffè solubile e cibo confezionato con burro e chissà quale tipo di spezia. Un odore nauseabondo che ti accompagna per ogni luogo d'Inghilterra: credo che anche il nostro soffritto di cipolla sia nauseante per gli stranieri, ma sono convinto della superiorità antropologica dei popoli mediterranei!

Ci vediamo con la signorina Kamp.
Prendiamo il classico doubledeckerbus, il pulman a due piani e, a giudicare dalle folli velocità, direi che si accappotta in curva. Un viaggio verso casa caratterizzato da mamme multicolore che urlano e odiano i loro multicolori figli - rimpiangendo il giorno in cui, ubriache, hanno permesso a quel ragazzo di mescolare con loro i propri umori - e da gente che porta a spasso bicchieroni di bevande di non meglio precisata origine e sapore.
A casa della signorina Kamp e di Pakiderma ti senti veramente a casa! Non conoscono, o non hanno mai dialogato, o se lo hanno fatto è stato solo per suggerire maggiore pulizia, i loro "socievolissimi" coinquilini. Non è colpa loro: Kamp e Paki sono mediterroni, sono alla mano. Il problema è l'alienazione di 'sta gente che si ritrova a Londra in queste sudicie topaie che sono le case inglesi. Tutte uguali, tutte di mattoncini, con la moquette lercia anche in bagno, col bollitore per il the ma senza bidet! (L'inferiorità del popolo inglese si misura dall'ampiezza dei loro bagni!)

Visto il calore di casa decidiamo di uscire: se c'è una cosa di cui non ci si può lamentare in Inghilterra è la birra, ma rimane sempre quel senso di sudicio, di pulito male, dei pub. Dopo la jacket potato, ci dirigiamo in centro, percorso rockettaro sulle tracce degli Stones, di Mercury, ecc...
Il giorno seguente, dieci cambi di bus ci consentono una passeggiata a Camden Town, il quartiere punk ridotto ad un feticcio commerciale. Andiamo all'Highate Cemetery: il classico cimitero britannico in cui l'abbandono diventa senso estetico, in cui il verde è sempre più verde e in cui il giardiniere, con la sua miserevole quotidianità fatta di sigarette e pub, potrebbe essere un lavoro ambito per noi precari esistenziali. Comunque l'attrazione è Carletto Marx: in questi tempi di sinistra in via d'estinzione volevo almeno vedere la tomba del più grande pensatore del millennio. E Karl non delude: "Workers of all over the world, unite!" - c'è scritto sotto il suo faccione di bronzo.
Quindi ci spetta una classica British Breakfast. Pakiderma la prende classicissima: eggs, sausages, bacon... una fucilata al fegato! Io e Mrs Kamp ci manteniamo più leggeri, ma collassiamo tutti ugualmente al secondo piano di un autobus rosso, direzione Covent Garden.
E' il centro di Londra: gente che fugge dagli uffici, è venerdì e il pub è un paradiso alcolico che non ha prezzo. La disperazione di una settimana passata a prendere lo stesso bus, a vedere la faccia schifata e sconosciuta del collega di una vita, la depressione indotta dalla propria compagna a cui puzzano i piedi e che accompagna i toast con uova fritte tutte le mattine, merita di essere annegata in una serie smisurata di pinte.
Qui incontriamo un calabrese, uno dei 35 milioni sparsi nel mondo, e dopo un paio di birre attraversiamo Suburbia per andare a cena da lui: really interesting la sua compagna delle Asturias che bestemmia in dialetto calabro!
Paki, ormai vittima dello junkie food si spara un muffin alle 1.15 di notte e cade in un letargico sonno da cui sarà difficile smuoverlo.
Il sabato trascorre al Greenwich Royal Museum (e anche qui si scopre che le scoperte sul tempo e sulla longitudine sono richieste dell'incessante accumulazione di capitale), un timido tentativo di rendere culturale questa tre giorni di birre: una "Tre giorni di rispetto, tolleranza e curiosità per le differenze", come l'abbiamo definita echeggiando festival rockettari degli anni '70. In realtà abbiamo trascorso i nostri km per Londra a sfottere la pronuncia degli indianini (cosa vorrà mai dire tirdieidty, 38 o 13.18?), l'ermetismo linguistico del vero inglese (flaiovaa?!!?!?!) e ovviamente l'odio razziale per l'ordine maniacale di questo popolo.
Non c'è una cosa fuori posto, un contrattempo, niente. Tutti hanno il loro posto nella gerarchia sociale: non c'è darwinismo, tutti hanno una funzione, tutto si incastra come ingranaggi di orologi e tutto è studiato affinche sia assicurato il pieno consumo della merce. Ma lo sapete quanto è grande l'impronta ecologica del vostro fottutissimo caffè-brodaglia? La sua produzione inquina e sfrutta quasi come una piccola impresa conserviera italiana!
Questo mi porta a pensare inconsciamente alle intricate riflessioni di Roger Waters in The Wall o allo squallore sociale di 1984, al perbenismo royal di Tommy, alla critica caustica di Aqualung o di London Calling. Opere genuinamente rock che forse hanno segnato la mia percezione del mondo anglosassone. Però c'hanno ragione...



Il mio london trip finisce alle 7.56 di domenica mattina, quando un policeman decide di perquisire il mio zaino all'aeroporto. Mette da parte il beauty e comincia a rovistare ovunque, mi chiedo quale oggetto metallico mi sia scordato nei pantaloni e aspetto e sollecito il flaccido davanti a me: "my flight is departing... could you go faster, please? - chiedo - no matter, risponde". Dopo aver svaligiato tutto mi comunica che non posso trasportare il mio gel per capelli, perchè eccede di 25 ml il massimo consentito!!! e non potevi dirlo subito stronzo osservatore del protocollo di sicurezza doganale?!
No matter mi ha fatto perdere il volo, inseguo la security per i 25 km che separano il gate dall'ingresso, espongo il mio problema, vengo accompagnato all'ufficio perquisizioni speciali, qui mi spiego meglio e mi dicono di seguire un guardio che senza proferire verbo apre un cancelletto e mi fa segno di passare: mi ritrovo fuori dall'aeroporto! Trattato come un profugo, un pericoloso criminale. E non posso chiedere neanche il rimborso perchè quel fucking cop dell'imbarco ha cambiato turno, ora starà tornando col suo caffè brodoso e il suo giornale scandalistico, su un autobus nè pieno nè vuoto, alla sua domenica casalinga da trascorrere davanti alla tv a guardare il Fulham in una casetta di mattoni di un'anonima via di un sobborgo londinese.

"hanging on in quite desperation is the english way
The time is gone the song is over,thought i'd something more to say"

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