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SINISTRA

Intervista al segretario Paolo Ferrero: «Ecco che cosa è la Fds»

di Checchino Antonini


Non è che in giro si siano lette o viste molte analisi sul congresso della Federazione. Oscurati o banalizzati. Eppure il passaggio dell'Ergife ha formalizzato alcune proposte politiche importanti:
innanzitutto l'urgenza di un fronte democratico per cacciare Berlusconi,
«e contro il bipolarismo», puntualizza Paolo Ferrero, segretario di
Rifondazione comunista: «Il fronte democratico, ovviamente che escluda
Fini, serve a cacciare Berlusconi, ed è un valore in sé. Così come
uscire dal bipolarismo che è il sistema con cui in Italia è stato
espulso dalla politica il conflitto sociale».

L'altro corno della proposta è quello di unire le lotte e di scrivere un programma comune della sinistra. E' il problema dei rapporti con Sel.
Anche se noi non siamo interessati ad andare al governo non significa
che non abbiamo un programma. Allora perché non fare una campagna
unitaria sui punti indicati dalla piattaforma del 16 ottobre? Quella
manifestazione reclamava la fine della precarietà, un reddito per tutti,
la difesa del contratto nazionale di lavoro ma anche la
ripubblicizzazione dell'acqua e il ritiro delle truppe dall'Afghanistan.

Lo hai chiesto anche a Nichi Vendola nella video lettera in cui proponevi a Sel anche una lista unitaria a Milano, dopo aver vinto assieme le primarie con Pisapia. E in cui suggerivi di trovare candidati
comuni per le primarie in altre città. Hai avuto risposte?

No, o almeno, non ancora. Mi dispiace non aver ricevuto risposte a
domande semplici. Non ci si può affidare solo alle primarie. Davvero,
perché non fare insieme una campagna unitaria che produca contenuti per
il programma del centrosinistra?

Torniamo al congresso: chi non lo ha ignorato tende a interpretare l'assise dell'Ergife come un rientro nell'alveo del centrosinistra o, all'opposto, come la reunion dei comunisti. Cos'è
stato davvero?

Il punto del congresso è stata la nascita di un polo politico della
sinistra. Non un nuovo partito e nemmeno un'alleanza elettorale. Un
processo che non va sovrapposto alla questione dell'unità dei
comunisti».

Credo che qui sia necessario puntualizzare.
Perché è un'altra cosa: è un soggetto autonomo dal centrosinistra con una forma federativa aperta, che rispetti i percorsi, che tende ad
aprire uno spazio in cui non intervengano discussioni identitarie a
produrre delle scissioni, che valorizzi quel 90% che ci unisce. Questo
strumento deve servire a farci diventare tessitori delle varie forme in
cui la sinistra di classe s'è frantumata: dentro la Cgil, nel
sindacalismo di base, nei conflitti. Ed è una forma rivolta soprattutto a
chi non è iscritto a nessuna forza della sinistra. L'ho detto
all'Ergife: è una forma aperta perché larga parte di chi oggi fa
politica di sinistra non è iscritto a nessun partito. Il tema di una
proposta dei comunisti e anche dell'unità dei comunisti sarà il tema del
congresso di Rifondazione. La necessità di un polo di sinistra,
anticapitalista, antipatriarcale ci sarebbe anche con un solo partito
comunista. La Federazione, invece, dovrà essere utile a un confronto con
tutti i comunisti dentro e fuori di sé e l'unità non è un fatto
organizzativo ma di analisi e di linea condivise.

Qualcuno ha detto che è stato un congresso stanco.
E' stato un parto, un luogo di passaggio che costruisce uno spazio politico e, come tutti i passaggi veri, ha prodotto discussioni ma i
passaggi veri hanno un prima e un dopo. E quello che c'è dopo è quello
nasce. Parte un'altra storia. Se il prima è stata la difficoltà di
costruire in forme condivise una vera operazione unitaria, il dopo sono
la linea politica e lo statuto che sono molto netti. Ma deve essere
chiaro che il patto tra i fondatori è costitutivo della possibilità di
aprire quello spazio. E dunque non poteva essere saltato. Ora il
problema dev'essere come far vivere la federazione nei territori.

Eh, e come si fa?
Generalizzando le migliori pratiche.

Molti militanti avrebbero preferito che il consiglio federale avesse eletto il portavoce definitivo.
E' sacrosanto che il segretario del Pdci possa svolgere il suo turno da portavoce dopo l'infortunio che glielo aveva impedito. Fra novanta
giorni, secondo lo statuto, il portavoce o i due portavoce saranno
eletti da quell'assemblea.

Ha fatto discutere il nuovo simbolo senza riferimenti alla rifondazione e al comunismo.
C'è la falce e martello per tener dentro la nostra storia. I partiti comunisti non si sciolgono. Rifondazione resta. Dopo di che abbiamo
deciso di chiamarla Federazione della sinistra ed è giusto che il
simbolo contenga queste parole.

Quindi nessuna abiura?
Vogliamo essere un soggetto politico che non rinnega la sua storia, la nostalgia non c'entra. Il punto è che se si distrugge il Novecento, si
torna all'Ottocento quando le classi subalterne non avevano coscienza di
sé né capacità di organizzazione. E vogliamo smentire l'idea che
cambiando il simbolo ci si riesca a sottrarre all'accusa di essere
dentro quella storia. Siamo dentro un universo simbolico colonizzato
dalla riscrittura della storia: se permetti all'avversario di farlo ecco
che il comunismo diventa il male assoluto. E allora capita di vedere le
manifestazioni del Tea Party contro il "comunista" Obama, di sentire
Berlusconi che dà del comunista a Bersani. Dopo vent'anni di maccartismo
è importante riuscire a parlare anche a chi non riesce a dirsi
comunista.

E qui veniano al nodo dell'oscuramento mediatico.
Siamo oscurati perchè la nostra linea è in totale controtendenza sia sul piano della storia, sia su quello dell'anticapitalismo, sia sul piano
della politica. Non è un caso che per Via Solferino esistano solo
Veltroni e Vendola e, a volte, qualche frammento della diaspora del Prc.
Ecco perché Fazio invita Marchionne e non i tre operai Fiat licenziati.
Vedi, noi siamo un soggetto politico autonomo dai poteri forti di
questo Paese - banche, Confindustria, Vaticano - e questa cosa vuol dire
essere in scontro con chi possiede i giornali, chi possiede le
televisioni e con chi detta l'agenda politica. C'è una sinistra
frantumata, una che poi si accomoda e poi ci siamo noi. Nella
ristrutturazione populista della politica siamo una cosa che va
distrutta. Il populismo è la forma della politica che parla della
distruzione dell'autonomia delle classi subalterne.

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