L'AltraSersale

Un nuovo modo di essere comunità. Un mondo nuovo.

Donne mie illudenti e illuse che frequentate le università liberali, imparate latino, greco, storia, matematica, filosofia; nessuno però vi insegna ad essere orgogliose, sicure, feroci, impavide. A che vi serve la storia se vi insegna che il soggetto unto e bisunto dall’olio di Dio è l’uomo e la donna è l’oggetto passivo di tutti i tempi? A che vi serve il latino e il greco se poi piantate tutto in asso per andare a servire quell’unico marito adorato che ha bisogno di voi come di una mamma? Donne mie impaurite di apparire poco femminili, subendo le minacce ricattatorie dei vostri uomini, donne che rifuggite da ogni rivendicazione per fiacchezza di cuore e stoltezza ereditaria e bontà candida e onesta. Preferirei morire piuttosto che chiedere a voce alta i vostri diritti calpestati mille volte sotto le scarpe. Donne mie che siete pigre, angosciate, impaurite, sappiate che se volete diventare persone e non oggetti, dovete fare subito una guerra dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini, ma contro voi stesse che vi cavate gli occhi con le dita per non vedere le ingiustizie che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi vi considera delle nemiche, delle rivali, degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria tutti i giorni senza neanche saperlo, contro chi vi tradisce senza volerlo, contro l’idolo donna che vi guarda seducente da una cornice di rose sfatte ogni mattina e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere, scintillanti di collane, ma prive di braccia, di gambe, di bocca, di cuore, possedendo per bagaglio solo un amore teso, lungo, abbacinato e doveroso (il dovere di amare ti fa odiare l’amore, lo so) un’ amore senza scelte, istintivo e brutale. Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà di intenti, libere infine di essere noi intere, forti, sicure, donne senza paura.
Dacia Maraini - "Donne mie"

Da www.rifondazione.it:

La nascita della giornata internazionale delle donne

di Linda Santilli -
L’8 marzo, giornata internazionale della donna, ha radici lontane, non facilmente rintracciabili in un evento specifico, una sorta di ora x come unico e isolato riferimento del passato, piuttosto la nascita di questo appuntamento annuale rimanda ad un insieme di eventi intrecciati tra loro dentro il complesso e lungo cammino del protagonismo femminile almeno  dalla seconda metà dell’800 in avanti: dagli Stati Uniti alla Russia passando per il resto dell’Europa, incrociando guerre e rivoluzioni, movimenti politici e culturali, con al centro la  spinta propulsiva di un movimento politico delle donne che andrà via via costituendosi per irrompere vistosamente sulla scena pubblica alcuni decenni dopo.
Ed è proprio il retroterra di pensieri e pratiche femminili che fanno da sfondo – non all’invenzione della giornata internazionale ma alla sua costruzione lenta e tenace -  a dare conto della complessità della storia dei movimenti delle donne così carsici, segnati al loro interno da differenze importanti, e così orizzontali, fluttuanti, disobbedienti, costruttivi, creativi. A dare conto della ostinazione che hanno avuto le donne a volere a tutti i costi uscire dall’oscurità, a prendere parola sul mondo, ad essere protagoniste delle proprie vite.
Questo retroterra è il senso stesso di una giornata “resistente” un secolo, è il suo valore, è la sua attualità in un presente drammatico segnato da passi in dietro e difficoltà, in cui il rischio è la neutralizzazione di senso, valore politico e attualità di ciò che essa dovrebbe rappresentare, nell’onda commerciale di mimose e cioccolatini per tutte e nulla più, in un tempo in cui le donne hanno davvero poco da festeggiare.
Eppure l’8 marzo è ancora qui, le donne non lo mollano, e vogliono che resti  simbolicamente una  giornata di lotta per i diritti e la libertà. Che i riflettori almeno per quel giorno siano puntati sulla parte della scena normalmente oscurata per provare a capire come va il mondo a partire da lì.

Sull’origine della nascita di questo appuntamento annuale c’è stata e continua ad esserci ancora oggi una grande confusione, come se la memoria si fosse dispersa in mille rivoli.  Come se ogni versione indicata di volta in volta fosse una bolla destinata a sgonfiarsi lasciando nulla, oppure qualche residuo come traccia di verità parziali, di per sé non sufficienti ma bisognose di essere connesse ad altri fatti per comporre un puzzle più articolato fatto di tante caselle.
Non c’è insomma nessun evento fulminante, nessun assalto al palazzo definitivo e glorioso a cui indirizzare lo sguardo, perché le pratiche delle donne muovono la scena, sempre, e vanno per tessiture significative, strappi e ricuciture, punti, tantissimi.
Associare a questo evento ad esempio, come hanno fatto la maggioranza dei Paesi europei,  l’episodio di uno sciopero di operaie tessili che sarebbe avvenuto a New York l’8 marzo 1857, episodio celebrato  per la prima volta nel 1907, data che inaugurerebbe la Giornata della donna, è stata una versione priva di ogni riscontro storico semplicemente perché il fatto non accadde.
Altri Paesi ancora attinsero ad eventi, tutti situati negli Stati Uniti, che però alla luce di ricerche storiche si sono rivelati totalmente privi di fondamento. Tra questi c’è anche la versione più accreditata che ha resistito in Italia per anni, quella suggestiva dell’incendio della fabbrica Cottons a  Chicago in cui avrebbero perso la vita 129 operaie per mano del padrone che le avrebbe intrappolate per costringerle a lavorare. Di qui la scelta operata da Clara Zetkin di istituire due anni dopo a Copenaghen, in occasione della II Conferenza internazionale delle donne socialiste, la Giornata internazionale della donna.
Ebbene anche in questo caso la ricostruzione sembra essere priva di ogni fondamento perché di quell’incendio non vi è traccia documentata. Dunque una bolla anche questa, come emerge dalle ricerche della canadese Renée Coté e in Italia dal lavoro appassionato di Tilde Caponazza e Marisa Ombra, che negli anni ‘80 si immergono nella storia per rintracciare il filo delle donne offrendoci infine una pubblicazione preziosa (“8 Marzo. Una storia lunga un secolo”, Ed. Iacobelli).  Ecco allora che come in un gioco di rimandi continui appaiono a volte in modo sfuocato, poi in modo sempre più nitido, le protagoniste, almeno alcune tra le principali: certamente Clara Zetkin, dirigente del movimento operaio tedesco, la sua cara amica Rosa Luxemburg, fondatrice del partito socialista polacco e del partito comunista tedesco,  Alessandra Kollontaj, rivoluzionaria femminista russa,  Corinne Brown, femminista statunitense organizzatrice del primo Women’s Day,  ed altre ancora.  Diverse tra loro per collocazione geografica,  per formazione politica e per l’idea stessa di movimento delle donne, del rapporto tra femministe socialiste e femministe borghesi, tra movimento delle donne e partito,  ma tutte accomunate dall’impegno tenace, ostinato, contro le discriminazione delle donne e la loro esclusione dalla scena pubblica, a cominciare dal diritto di voto. Tutte accomunate – va aggiunto – dal sapersi conquistare ben presto l’ostilità dei dirigenti dei partiti in cui militano, pagandola duramente  a causa dell’autonomia delle loro posizioni politiche, non ultima il rifiuto della guerra che incombe sull’Europa.
Soprattutto grazie a loro, aderenti alla II Internazionale,  si vanno moltiplicando le occasioni di incontro tra donne di vari Paesi per approfondire i problemi relativi al lavoro politico tra donne, fare confronti, individuare linee comuni, fare proposte vincolanti per tutti i partiti aderenti all’Internazionale. Grazie a questa pratica tenace di confronto si creano sicuramente importanti  premesse  per arrivare alla costituzione della giornata internazionale della donna.
Quando Clara Zelkin nel 1910 a Copenaghen coordina i lavori della Conferenza delle donne socialiste con l’idea di proporre l’istituzione di una giornata internazionale delle donne, in molti paesi si ripetono ormai da tempo annualmente, anche se in modo frammentario e in date diverse,  incontri tra donne  con al centro soprattutto il tema del diritto di voto, già acquisito in Nuova Zelanda, in Australia ed in Finlandia. Negli Stati Uniti il Women’s Day è già una pratica consolidata che ha luogo l’ultima domenica di febbraio per principale impegno delle socialiste e che andrà connotandosi sempre più come movimento unitario capace di andare oltre lo schieramento socialista per aggregare anche il femminismo borghese. Una esperienza che segna una differenza sostanziale rispetto alle posizioni che animano il dibattito nell’Internazionale socialista, dove è prevalente l’idea che solo con la lotta di classe e la vittoria del proletariato sarebbero finite le altre oppressioni, compresa quella delle donne. Per questa ragione nel Congresso del 1907 viene deciso che le donne socialiste non devono allearsi con le donne borghesi per la battaglia sul diritto di voto. Ma le cose negli Stati Uniti vanno diversamente: sorgono club di femministe autonome dai partiti, e prevale la tendenza all’unità tra le donne, basta pensare allo sciopero delle camiciaie a New York  – è il 14 febbraio 1909 – che si trasforma in sciopero del “movimento delle donne”: una esperienza gigantesca di solidarietà femminile che le farà ritrovare in  migliaia quello stesso anno, a festeggiare appunto la Giornata della donna.
Nel 1910 dunque non si tratta di inventare nulla, ma di ratificarne qualcosa che già esiste elevandolo a livello internazionale.
Alla Conferenza di Copenaghen partecipano delegazioni di moltissimi paesi, comprese le americane del Woman’s Day, ma la proposta non passa, o meglio Clara ritiene che non sia nemmeno il caso di portarla alla discussione  perché non sono maturi i tempi. Ma decide di fare una forzatura pubblicando il giorno seguente, a titolo personale, la proposta sul giornale che dirige, L’Uguaglianza.  Nel testo non nomina alcuna data specifica né fa riferimento a un evento in particolare da commemorare, ma questo gesto coraggioso apre definitivamente la strada verso l’8 marzo che sarà, e in futuro verrà considerato il momento chiave da cui prende il via la tradizione che noi conosciamo.
Negli anni seguenti, almeno fino lo scoppio della guerra che segnerà una interruzione brusca, la giornata della donna verrà celebrata quasi in tutta Europa: in Russia nel marzo del 1913 con il nome di giornata delle operaie, l’anno successivo in Germania,  in Francia, in Finlandia, in Norvegia. E’ l’occasione per rivendicare l’emancipazione politica delle donne, ma anche per mettere al centro la pace come obiettivo comune di tutte.
Per capire il perché sarà 8 marzo, bisogna andare in Russia, a Mosca, nel 1921,  a guerra finita, quando a presiedere la II conferenza delle donne comuniste come segretaria aggiunta è Alessandra Kollontaj, allora dirigente di rilievo del partito, femminista “spregiudicata” per l’epoca, che attacca l’istituzione familiare alla radice e affronta il tema della sessualità e della relazione tra i sessi anche in ambito privato facendo scandalo.
Il 14 giugno a conclusione dei lavori viene finalmente accolta la proposta di istituire una giornata, ma a differenza di quello era stato il pensiero di Clara che immaginava un appuntamento rivolto a tutte le donne, qui viene inaugurata la Giornata dell’operaia. La data è l’8 marzo, per ricordare la rivolta delle donne di Pietrogrado contro lo Zar avvenuta il 23 febbraio 1917, che nel nostro calendario gregoriano corrisponde all’8 marzo.
Racconta la stessa Kollontaj: “ Poi venne il grande anno 1917. La fame, il freddo e le sofferenze della guerra l’hanno avuta vinta sulle sofferenze delle operaie e delle contadine russe. Il 23 febbraio 1917 esse sono uscite coraggiosamente sulle strade di Pietrogrado. Queste donne, operaie e mogli di soldati, esigevano pane per i loro figli e il ritorno dei mariti dalle trincee (..). La Giornata delle operaie è diventata una giornata memorabile nella storia. Quel giorno le donne russe hanno brandito la torcia della rivoluzione proletaria ed hanno dato fuoco alle polveri. La rivoluzione di febbraio stava per cominciare” (Caponazza, Ombra, 8 Marzo Una storia lunga una secolo , ed. Iacobelli). Va detto che la decisione assunta in Russia non avrà grande fortuna, se di fatto tutte le donne del mondo adotteranno l’8 marzo per festeggiare la Giornata internazionale della donna, e non dell’operaia, e se mai nessuno, nella ricostruzione storica dell’evento, farà riferimento alla rivoluzione sovietica

E in Italia?
In Italia la prima celebrazione ufficiale della giornata porta la data del 1945, quando il Paese è ancora per metà in guerra.
L’Unione donne italiane, associazione nata l’anno prima da donne antifasciste e prevalentemente di sinistra, si fa promotrice dell’iniziativa in un clima di grande speranza di uscire dalla miseria, dalla distruzione e dalla morte, per poter ricostruire finalmente come donne, da protagoniste, il Paese. Il richiamo all’unità è fortissimo.
Fino agli anni 70, cioè all’avvento del femminismo, il destino di questa giornata è prevalentemente legato all’impegno dell’Udi, che instancabilmente porta avanti le lotte per l’emancipazione interrotte dalla dittatura fascista. Pace e democrazia sono le parole di questi anni. Perché non ci siano mai più guerre, urlano le donne.
La giornata prende corpo, si struttura sempre più come momento di lotta, di diffusione di volantini e del giornale Noi donne, ma anche di festa: concerti, mostre, spettacoli ovunque, nonostante la miseria, per coinvolgere le donne di ogni orientamento politico a prendere coscienza dei propri diritti e a lottare perché i contenuti della nuova Costituzione prendano concretezza.
E proprio in quegli anni della ricostruzione così difficili in cui prende piede la mimosa, organizzare l’8 marzo è un rischio. Le donne che distribuiscono fiori e volantini si scontrano con l’ostilità delle forze dell’ordine, vengono denunciate per “turbativa dell’ordine pubblico”, per “questua non autorizzata”, spesso vengono portate in questura e arrestate. Sono anni difficili quelli della ricostruzione, ma le donne non mollano. L’Udi soprattutto, anche quando in pieno boom economico si diffonde l’idea che forse le lotte specifiche delle donne non servono più, insiste nel lavoro di sensibilizzazione e organizzazione su tutto il territorio, ed impedisce che l’8 marzo si arresti.
Siamo stanche di stare alla finestra! Vogliamo essere uguali ma anche diverse!
La voglia di irrompere vistosamente sulle piazze prende piede. E’ l’avvento del femminismo, che cambierà il corso della storia, anche della storia dell’8 marzo.
Esattamente l’8 marzo 1972 il movimento femminista romano per la prima volta si mostra, colorato, tra gonnelloni di fiori, zoccoli, musica e mimose, a Campo dei Fiori. Non c’è rivoluzione senza liberazione della donna! Non c’è liberazione della donna senza rivoluzione!
Femministe, universitarie, studentesse molto giovani: è il movimento, che d’ora in avanti sceglierà la sua piazza ogni anno per manifestare autonomamente dall’Udi l’8 marzo.
Il movimento delle donne cresce e così la giornata, occasione unica per autorappresentarsi attraverso pratiche e modalità fino ad allora inconsuete: ancora balli, girotondi, canzoni, ironia, fantasia. Gli slogan urlati dai megafoni sono esplosivi. Fanno orrore a bempensanti di destra e di sinistra. Donna è bello! L’utero è mio e lo gestisco io!
Il personale è politico!
Migliaia di donne, da sempre restie alla politica, non resistono al richiamo di quel fuoco di liberazione, e mettono in discussione tutto, perfino i rapporti personali, per scendere in strada con le altre, costituire collettivi, gruppi di autocoscienza. Baldanzose e piene di speranza, alcune femministe romane costruiscono un fantoccio di cartapesta, si chiama Patriarcato, e sulla giacca verde militare ha centinaia di spillette che testimoniano le sue imprese di violenza. E’ alto 4 metri. Chiunque giura che crollerà, invece riuscirà ad attraversare tutto il centro di Roma per approdare a Piazza Navona ed essere bruciato in un clima di euforia e di forza collettiva.
Sono gli anni del divorzio, dell’aborto, poi della legge di iniziativa popolare contro la violenza sessuale. Ma sono anche gli anni delle leggi speciali antiterrorismo, dei tentativi di portare nel movimento delle donne gli slogan della lotta armata che vengono respinti senza cedimento, sempre. Le donne su questo sono chiare. La pratica è quella non violenta perché non si sconfigge il padrone con gli strumenti del padrone. E sono gli anni della repressione, dell’uccisione di Giorgiana Masi, del divieto di manifestare, della Legge Reale.
Negli anni seguenti la giornata dell’8 marzo andrà via via assumendo caratteristiche diverse, con il mutare del movimento delle donne, del clima di riflusso generale, dei mutamenti politici in atto nel paese.
La piazza per molti anni non sarà più il luogo in cui manifestare l’8 marzo. Si sceglieranno teatri, sale convegni per iniziative di approfondimento, università, biblioteche, luoghi di studio. Ma sempre, ogni anno, arriverà puntuale l’8 marzo.
Arriverà fino a noi, indebolito. Indebolito nella memoria del suo retroterra lungo un secolo, e forse oggi del suo senso, che stenta a rintracciarsi nell’immaginario collettivo, ridotto come è a festicciola da discoteca. Ecco allora che riportarne alla luce il significato autentico, attraverso la genealogia delle donne che lo hanno costruito, può aiutarci a reinventarlo nella sua autenticità dirompente, ed anche a contrastare ciò che Adrienne Rich  ha saputo vedere con grande chiarezza: “La sparizione del passato storico e politico delle donne fa sì che ogni generazione di femministe sembri essere una escrescenza anomala della storia”.

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