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Non molti anni fa eravamo quasi convinti che la Festa delle Donne sarebbe stata abolita perchè, grazie a 50 anni di politiche per le pari opportunità, grazie alle conquiste sociali del nostro paese e grazie al lavoro culturale del femminismo, credevamo che la condizione della donna e le differenze di genere sarebbero state un anacronismo per le nostre società.

 

Invece, oggi più che mai scopriamo una potente questione di genere in Italia. Oggi le donne percepiscono il 60% della retribuzione media dei colleghi maschi; solo il 5% delle posizioni manageriali è occupata da donne; solo il 10% del personale politico di questo paese (parlamentari, ministri e consiglieri regionali) è donna.

A ciò aggiungiamo che nelle selezioni di lavoro le donne vengono discriminate perchè potenzialmente suscettibili di gravidanza e quindi più dispendiose contrattualmente degli uomini. Che sulle donne gravano carichi lavorativi e in più quelli di famiglia (accudire figli e genitori) che ne ostacolano lo sviluppo della personalità nella nostra società.

Che, generalmente, le donne faticano il doppio per ottenere la metà della considerazione degli uomini.

Dati che fanno pensare ad un Italia maschile e maschilista.

 

Eppure le statistiche dicono che le donne hanno più successo nel mondo della ricerca e della gestione, che riescono meglio nei ruoli direttivi e di responsabili delle imprese e associazioni; che conseguono votazioni e risultati professionali più elevati rispetto agli standard maschili. Eppure continuano a occupare una posizione marginale. Perché?

 

Innanzitutto perchè il sessismo è una componente essenziale del funzionamento del capitalismo: senza la divisione del lavoro tra uomini (in fabbrica) e donne (a casa), o senza gli standard salariali inferiori per le donne, il capitalismo smetterebbe semplicemente di funzionare.

In secondo luogo, in un sistema sociale concepito sul predominio dell'uomo, l'occupazione di posizioni di vantaggio è fondamentale per il mantenimento del predominio: una donna che non lavora è meno indipendente di un uomo che lavora, una casalinga è meno indipendente del maschio, un direttore è più potente di una segretaria, un presidente è più potente di una presidente.

Infine c'è una componente culturale del nostro modello sociale che è entrata in crisi. Le conquiste socio-culturali del '68 vengono costantemente erose e capovolte dal portato reazionario di questi ultimi anni.

Le condizioni contrattuali stanno peggiorando per tutta una generazione, ma si aggravano ulteriormente le condizioni e le opportunità per le donne, relegate ad alcune tipologie di lavoro e di contratto. Quelle culturali sono sotto attacco da una doppia matrice: il pensiero reazionario delle attuali gerarchie vaticane e il berlusconismo.

 

Il Vaticano ha recentemente intensificato la sua opera di influenza nelle politiche dello stato italiano: questioni come l'aborto, la fecondazione assistita, la libertà di scelta vengono continuamente aggredite nei proclami e nei consultori, nelle chiese. Questa opera reazionaria di critica della libertà di scegliere sul proprio corpo, sul proprio diritto di concepire e di utilizzare la scienza per la maternità riverberano sulla libertà delle donne, quasi come se queste dovessero tornare ad essere delle fattrici dedite alla cura della prole. Il tutto avviene sul corpo delle donne e sulla loro condizione psichica: il dramma di una gravidanza non desiderata, di una maternità desiderata non sembrano essere preoccupazioni del clero...

 

Il berlusconismo come blocco di pensiero ha invece operato una involuzione culturale in questo paese: la mercificazione del corpo delle donne, l'imposizione di canoni di bellezza e l'idea machista della donna accessorio/animale da compagnia stanno comportando un danno enorme alle conquiste del '68. La rivoluzione sessuale e la libertà espressiva della donna è ormai stata capovolta e il corpo diviene strumento di scambio: una prestazione sessuale per un lavoro, per soldi, per benessere. In questo modo di concepire la figura femminile si rivela il peggior maschilismo contemporaneo: la donna non è un oggetto del piacere!!!

 

Lo squallore di (H)Ar(d)core, lo sculettare delle veline, letterine, la fiorente economia della prostituzione testimoniano di un regresso culturale dell'Italia, nel quale la concezione della donna ne esce devastata, ridotta, mercificata.

 

Noi questo non possiamo tollerarlo e perciò auguriamo buona festa della donna a tutte le donne e agli uomini che sentono ancora di potersi ribellare.

 

Dedichiamo il nostro augurio alle Ribellissime che il 13 febbraio hanno dato prova che una società con più donne sarebbe una società più equa.

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