L'AltraSersale

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I risultati del referendum confermativo per il #tagliodeiparlamentari li vedremo tra qualche anno, quando la riforma del numero di deputati e senatori avrà dispiegato i propri effetti. Quanto saranno profondi dipenderà dalla capacità delle attuali forze di maggioranza (PD-M5S-LeU) di integrare la riforma con un'adeguata legge elettorale.

Tuttavia, bisogna sempre partire dai numeri:

Il risultato sembra plebiscitario, come se il messaggio elementare del bastaKasta dei 5stelle avesse pervaso la società. Ma il 70 a 30 non deve ingannare: tra il dicembre 2016 e settembre 2020, tra la riforma costituzionale di Renzi e quella di Di Maio, si sono persi oltre 7 mln di elettori.

A fronte di un corpo elettorale quasi immutato (46,5 mld di elettori), all'ultimo referendum solo 25 mln sono andati a votare (il 54% degli italiani). Di questi solo 17 mln hanno votato Sì. Ciò autorizza a dire che il taglio dei parlamentari è stato voluto solo dal 36% degli italiani. Numeri che vanno rispettati, come dice la Costituzione, poiché si tratta di un referendum confermativo. Ma è paradossale che un popolo stanco della democrazia rappresentativa non utilizzi convintamente gli strumenti di democrazia diretta come i referendum.

Un risultato analogo a quanto avvenuto col referendum confermativo sulle modifiche al Titolo V della Costituzione del 2001 (maggiore autonomia alle regioni), in cui una ancora più esigua maggioranza confermò il trasferimento delle funzioni alle regioni - i cui effetti, a partire dal disastro della sanità, stiamo toccando con mano oggi in tempi di Covid!

Solo 10 anni fa, al referendum per l'acqua si recava alle urne quasi il 60% degli italiani; ad eccezione dei referendum confermativi del 2006 (riforma costituzionale voluta da Berlusconi) e del 2016 (voluta da Renzi) - più complessi perché prevedevano riforme articolate -, è dal 1995 che la maggioranza degli italiani disertano gli appuntamenti referendari.E questa è una spia della irreversibile crisi politica del nostro paese. L'astensionismo non può essere considerato solo alla stregua di tacito consenso per l'esito del voto, è evidente, elezione dopo elezione (politica o meno che sia) che c'è sempre una fetta maggiore di italiani che non reputa il voto uno strumento di potere per decidere il proprio futuro.

Anche in questo caso, in cui il quesito era chiaro e semplice, non richiedeva conoscenze di diritto per capire il quesito (e gli esiti), i cittadini non sono andati a votare: si tratta di una rinuncia a decidere!

Da questo punto di vista, i 5stelle non hanno molto di che esultare: proprio il loro cavallo di battaglia (la democrazia diretta) viene snobbato dagli italiani, anche quando si tratta di votare un altro loro cavallo di battaglia (il taglio dei parlamentari). E' chiaro che l'innovazione culturale del movimento di Grillo è prossima allo zero. Anzi senza i dovuti correttivi, il M5S sarà responsabile non solo di aver ridotto gli spazi per l'esercizio della democrazia rappresentativa senza aver convinto con quella diretta, ma addirittura saranno i principali danneggiati dal taglio. Poiché in assenza di un collegio nazionale a scrutinio proporzionale, saranno fagocitati dai partiti tradizionali esattamente come avviene alle elezioni amministrative.

Tutto ciò è l'effetto disposto di 40 anni di crisi della politica, su cui si innesta il filone antipolitico e delle valutazioni di opportunità dei partiti attualmente in parlamento.

Da tangentopoli in poi i politici e i partiti sono ampiamente delegittimati a rappresentare l'esercizio della democrazia, i 20 anni di berlusconismo hanno ulteriormente abbassato il livello della discussione (tra lo sdoganamento del trash e l'appiattimento sull'agenda berlusconiana) in combinazione con l'ambizione al bipolarismo del centrosinistra, gli ultimi dieci anni il mantra dell'antipolitica ha definitivamente cancellato i partiti come luoghi di mediazioni di istanze e di cambiamenti. Saltando il vincolo dell'appartenenza culturale e politica a determinati campi programmatici, i singoli politici sono disperatamente attaccati alla webcrazia (che decreta, attraverso una combinazione di denaro e comunicazione, le sorti di questo o quel movimento). In questo scenario di crisi, ai cittadini e ai politici stessi è apparso gioco facile proporsi come autori di un taglio alla loro stessa inefficienza.

In pratica, anziché favorire la partecipazione, l'emancipazione del cittadino attraverso la politica come prescrive la Costituzione repubblicana, i partiti hanno optato per l'abbassamento del livello della sfida. Anziché fronteggiare e incorporare nuove istanze, i partiti hanno deciso di dichiararle non rappresentabili. Anziché migliorare loro stessi, hanno deciso di rendere peggiori le istituzioni.

A questo si aggiunge la contingenza: questa riforma promossa dai 5stelle col supporto della Lega è stata portata a casa col supporto finale del PD (in parlamento), anche se né i leghisti né gli elettori di centrosinistra erano d'accordo sul taglio. E' frutto di accordi di governo, anche se mercanteggiare le riforme istituzionali per il sostegno ad una maggioranza è dimostrazione dell'ulteriore debolezza dei partiti, incapaci di affrontare le riforme con spirito costituente e portati a realizzarle con spirito arrembante. Nel mezzo è intervenuto il cambio di maggioranza: per la Lega era troppo evidente rimangiarsi un anno di sostegno alla riforma in così poco tempo, per il PD era troppo rischioso non sostenere il cavallo di battaglia del proprio partner di governo. In questo il M5S, col refrain anti casta, ha messo all'angolo i due principali concorrenti politici (e anche gli altri), e pertanto nessun partito ha ufficialmente preso posizione per il NO (in un periodo di ulteriore crollo del dibattito a causa del Covid).

Tuttavia, approvato il taglio, questa è la situazione:

  • il rapporto eletti/elettori passa dagli attuali 1/90.000 a 1/135.000 (1/200.000 al Senato!), con una evidente sotto rappresentazione dei cittadini.

Benché prioritariamente imputabile alla legge elettorale, la rappresentazione virerà a tutto vantaggio di una oligarchia di 'selettori' di parlamentari. Rimanendo così le cose, sia all'interno delle liste di partito che tra le varie liste, verranno danneggiate le minoranze politiche; anche con una legge elettorale proporzionale, ogni deputato rappresenterà territori e popolazioni più ampie e variegate, con una evidente difficoltà ad ascoltarne tutte le istanze. Dove lo stesso collegio aveva prima una pluralità di colori politici che rappresentavano il territorio, ora dovremo accontentarci di un rappresentante di maggioranza e (forse) uno di minoranza.

  • il potere legislativo, fulcro di una democrazia parlamentare come la nostra, ne esce ampiamente ridimensionato per qualità e quantità

Un minor numero di parlamentari rappresenta in misura minore le varie anime culturali e professionali, le sensibilità del paese (sarà più difficile vedere in parlamento deputati gay, o pacifisti, o ecologisti, per esempio) e di conseguenza il lavoro di produzione delle leggi risentirà di una minore varietà degli apporti (pur tenendo presente che i parlamenti degli ultimi lustri non hanno brillato per innovazione!); il lavoro delle commissioni parlamentari, competenti per materia, passerà dalle mani degli attuali 20-30 deputati a quello di 10, col rischio che le singole forze politiche non avranno nelle loro fila artigiani, professori, avvocati, ingegneri, agronomi in grado di lavorare con competenza nelle singole commissioni.

  • il potere esecutivo - il governo - passa sempre più in mano ad una ristretta cerchia di persone;

Se è vero che un minor numero di persone potrà sostenere una maggioranza, è anche vero che basta un manipolo di deputati non fedeli alla linea di partito a far traballare il governo. Per capirci: durante la legislatura Prodi II, Berlusconi tentò con tutti i modi (politici e illeciti) di strappare i cosiddetti 'responsabili' alla maggioranza, ma non riusci a comprare un manipolo di senatori sufficiente (ci volle il voto di sfiducia dei mastelliani). Quindi se su 351 deputati e 151 senatori è più difficile trovare quei parlamentari sufficienti al ribaltone, proporzionalmente, su 400 deputati e 200 senatori è più probabile individuare 7-8 parlamentari in grado di mettere in crisi una legislatura.

  • il taglio dei parlamentari è una scorciatoia politica alla irriformabilità dei partiti.

Incapaci di interpretare nuove istanze della società, incapaci di rinnovare (culturalmente) la propria classe dirigente, quindi incapaci di affrontare la loro crisi di credibilità, i partiti hanno deciso di tagliare la rappresentanza piuttosto che tagliare se stessi - non fanno eccezione i 5stelle, che portano nelle istituzioni antifasciste istanze antiparlamentari e soluzioni semplicistiche, sganciate dallo spirito costituzionale. Laddove i cittadini chiedono maggiori diritti civili, o maggiore responsabilità ecologica, i partiti rispondono alzando l'asticella affinché quelle istanze trovino rappresentanza politica.

Il fronte del NO, più ampio contro le revisioni massicce tentate da Berlusconi e Renzi, non è contrario ad ogni tentativo di aggiornare la carta costituzionale alle mutate condizioni del paese. Ma, sostanzialmente, la nostra costituzione nasce dall'antifascismo, perciò aspira al massimo pluralismo possibile: prevedendo sistemi di pesi e contrappesi istituzionali (indipendenza dei poteri), sistemi di allarme rispetto alle derive plebiscitarie o populistiche. Ma fondamentalmente si basa sull'idea che la sovranità spetti al popolo. Quando il popolo vi rinuncia, non andando a votare, siamo davanti ad un harakiri della democrazia.

PS: i dati a Sersale. Il dato "bulgaro" dell'80% a favore del Sì è in perfetta linea rispetto a quanto detto per la scala nazionale. Con una differenza: già dal 2016 l'astensionismo era ai livelli odierni. Tuttavia, in una campagna elettorale dominata (quando è stata fatta) dal ossessivo social networking, i 303 No sono indicatore di quel poco di attivismo politico condotto col dibattito, gli incontri, i manifesti. Insomma con i vecchi arnesi della politica.

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