Un nuovo modo di essere comunità. Un mondo nuovo.
Nello spirito di trascorrere una serata insieme, di costruire occasioni di socializzazione e di cultura, il Circolo di Rifondazione Comunista promuove il proprio cineforum estivo.
Martedì 9 luglio abbiamo dato il via ad una piccola rassegna a cadenza settimanale con la quale vogliamo non solo offrire, attraverso la settima arte, un momento ludico ma trarre spunti per momenti riflessione. Siamo convinti che l'alternativa si pratica dal basso e con l'autorganizzazione, per questo il nostro cineforum è completamente gratuito e aperto a chiunque.
Vi aspettiamo giovedì 25 luglio, in Piazza Italia, ore 21.30.
Nel terzo appuntamento abbiamo scelto di proiettare "Il Divo" di Paolo Sorrentino.
C'è un uomo che soffre di terribili emicranie e arriva anche a contornarsi il volto con l'agopuntura pur di lenire il dolore. È la prima immagine (grottesca) di Giulio Andreotti ne Il divo.
Siamo negli Anni Ottanta e quest'uomo freddo e distaccato, apparentemente privo di qualsiasi reazione emotiva, è a capo di una potente corrente della Democrazia Cristiana ed è pronto per l'ennesima presidenza del Consiglio. L'uccisione di Aldo Moro pesa però su di lui come un macigno impossibile da rimuovere. Passerà attraverso morti misteriose (Pecorelli, Calvi, Sindona, Ambrosoli) in cui lo si riterrà a vario titolo coinvolto, supererà senza esserne scalfito Tangentopoli per finire sotto processo per collusione con la mafia. Processo dal quale verrà assolto.
Paolo Sorrentino torna a fare cinema direttamente politico in Italia (Il caimano essendo un'abile commistione di politico e privato). Compie una scelta difficile pur decidendo di colpire un obiettivo facile: Andreotti. L'uomo di Stato che è stato definito di volta in volta, la Sfinge, il Gobbo, La Volpe, il Papa nero, Belzebù e, giustappunto, il Divo Giulio si prestava sicuramente a divenire simbolo di una riflessione sui mali del nostro Paese. La scelta era comunque difficile perchè Sorrentino aveva alle sue spalle almeno tre nomi ai quali ispirarsi e dai quali stilisticamente distinguersi in questa sua riscoperta del cinema impegnato: Francesco Rosi, Elio Petri, Giuseppe Ferrara. Il primo con il suo rigore nella denuncia, il secondo con una visionarietà graffiante, il terzo con il suo cronachismo drammaturgicamente efficace.
Sorrentino riesce nell'operazione. Dichiara, consapevolmente o meno, i propri debiti nei confronti degli autori citati nella fase iniziale del film che innerva però sin da subito con una cifra di grottesco che diventa la sua personale lettura del personaggio e di coloro che lo hanno circondato e sostenuto. Proprio grazie a questa scelta stilistica può permettersi, nell'ultima parte del film, di proporci le fasi processuali per l'accusa di mafia grazie a una visione in cui surreale e reale finiscono con il coincidere.
L'Andreotti di Sorrentino è un uomo che ha consacrato tutto se stesso al Potere. Un politico che ha saputo vincere anche quando perdeva. Un essere umano profondamente solo che ha trovato nella moglie l'unica persona che ha creduto di poterlo conoscere. La sequenza in cui i due siedono mano nella mano davanti al televisore in cui Renato Zero canta "I migliori anni della nostra vita" entra di diritto nella storia del cinema italiano. È la sintesi perfetta (ancor più degli incubi ritornanti con le parole come pietre scritte a lui e su di lui da Aldo Moro dalla prigione delle BR) di una vita consacrata sull'altare sbagliato.
Una vita in cui, come afferma lo stesso Andreotti (interpretato da un Servillo capace di cancellare qualsiasi remota ipotesi di imitazione per dedicarsi invece a uno scavo dell'interiorità del personaggio), è inimmaginabile per chiunque la quantità di Male che bisogna accettare per ottenere il Bene. That's Life? Forse non necessariamente.
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Per chi volesse approfondire qui di seguito pubblichiamo una sintesi della controversa storia di Giulio Andreotti fatta da il Fatto Quotidiano:
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