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Perché i Simpson sono immortali. Ventidue anni in prima serata

Da repubblica.it

La Fox ha rinnovato il contratto con Homer e Bart per altri due anni
Lo show creato da Matt Groening ha superato ogni record di longevità

di MICHELE SERRA

LA FOX negli Stati Uniti manda in onda i Simpson dal 1989, tutte le settimane in prima serata. L'altroieri il canale ha firmato il rinnovo del contratto a Matt Groening, il creatore e disegnatore dei Simpson, per altri due anni. Il che porta il totale a ventidue anni. Un record assoluto, nessun programma nella storia della televisione è riuscito a restare in programmazione in prima serata per un tempo così lungo. I Simpson, per noi fan, sono un classico già da molto tempo. Indiscutibilmente. Che la televisione decida di perpetuare la loro egemonia pop per altri due o dieci o vent'anni è solo la conferma ufficiale di ciò che a noi pareva già ovvio.

Di tutta l'arte di massa di fine Novecento il cartoon di Matt Groenig è una delle poche autentiche gemme. Qualcosa che resterà. Ora che ha conquistato il titolo di trasmissione da prime-time più longeva nella storia della televisione (dunque nella storia della cultura popolare tout-court), vale la pena riflettere su qualcuno dei meriti "storici" di questo serial: storici nel senso che i Simpson hanno fissato con implacabile precisione la condizione dell'uomo qualunque - americano ma non solo - dell'ultimo paio di generazioni. L'uomo post-ideologico, l'uomo consumatore e televisivo, il suddito medio dell'Impero delle Merci.

Enorme merito di Groenig e del suo staff è aver saputo custodire la loro raffinata intuizione satirica anche dentro la dozzinalità industriale della produzione televisiva. L'intuizione satirica è questa: che in democrazia non è più solo il Potere, sono i cittadini, uno per uno, i depositari dell'errore, i responsabili della sventura. Modernissima chiave, che al riparo dal consolante luogo comune sulla malvagità del Palazzo ha permesso di scaricare sulle spalle dell'anti-eroe Homer quasi tutta la soma satirica. Homer è la quintessenza della bulimia, del conformismo, della pavidità etica: un panzone devoto alla birra (birra e salsicce), schiavo della televisione, vittima della pubblicità, e soprattutto è tonto quanto basta per non rendersene conto.

Migliaia di episodi non sono riusciti ad annacquare o indebolire lo spietato cliché "anti-popolare" dei Simpson, la critica allegra e feroce della mediocrità del consumatore americano e della pochezza delle sue ambizioni. (È facile presumere che negli Usa qualche columnist della destra populista abbia attribuito all'autore dei Simpson lo snobismo degli intellettuali liberal, confondendo una volta di più la desolata precisione dell'analisi con il cinismo dell'analista).

A differenza di Fantozzi, grande maschera nostrana di omino schiacciato dalla storia, Homer non è affatto conscio della sua sventura e della sua subalternità. Homer è un incosciente, e questo lo rende invulnerabile (come tutte le grandi star dei cartoon). La sua stoltezza crapulona lo preserva dal Male, e non può essere vittima del Sistema perché è lui stesso il Sistema, lui il ricettore entusiasta di qualunque frottola politica e di qualunque truffa mercantile, lui il moltiplicatore acritico dei luoghi comuni e di un way of life goffo e scriteriato.

Perché dunque lo adoriamo? Ovvio: perché i Simpson siamo noi, perché ridendo di loro prendiamo le misure a noi stessi e le distanze da noi stessi. Quella casa, quella famiglia, quella torpidità opposta come sola difesa al bombardamento televisivo, quelle avventure picaresche nel labirinto della contraffazione sociale, dello sfascio ambientale, della menzogna politica, del fanatismo religioso, sono la caricatura esilarante della nostra impotenza.

Ma il mutevole accanimento del sopruso e dell'idiozia attorno a quella cittadina anonima e a quella casa qualunque si scaricano come fulmini nel terreno, e puntata dopo puntata non lasciano traccia. I Simpson sono invulnerabili, la loro animalesca vitalità allude all'immortalità del popolo, non c'è predicatore isterico, speculatore farabutto, idea sbagliata che non esca sconfitta da Springfield, il pozzo nero dove i nostri vizi sociali si concentrano e poi svaniscono, metabolizzati dalla stessa invincibile indolenza di Homer e dei suoi amici.

La vocazione di ogni cartoon a eternare i suoi personaggi funziona, nei Simpson, come un esorcismo non solo contro il tempo, ma anche contro i tempi e la loro degenerazione. I Simpson assorbono come spugne il peggio del nostro mondo ma lo riciclano nella loro micidiale routine quotidiana, spesa al drugstore, giretto in macchina, birretta al bar, tivù sempre accesa. L'epoca passa con i suoi veleni, i suoi crolli di borsa, le sue pazzie ideologiche. I Simpson restano, assaggiano tutto, digeriscono tutto: la pancia di Homer è la nostra assicurazione contro il Male. In prima serata, tutte le sere, speriamo per sempre.

(28 febbraio 2009)

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