L'AltraSersale

Un nuovo modo di essere comunità. Un mondo nuovo.

Non so se scrivere sulla Masnada significhi effettivamente appartenere a una compagnia di sbandati, mercenari al soldo di una causa, ad una compagnia di ventura, come sembrerebbe suggerire il termine stesso. Non so se la Masnada sia effettivamente una ventura, ma so che è una compagnia. Da tempo ne seguiamo gli stimoli culturali e spesso rimaniamo infastiditi dai suoi slanci letterari.
Tuttavia è un qualcosa che agita le palustri acque del nostro comprensorio, e quando Gianluca, armato di Rum&Coca, mi ha detto che c'era uno spazio su questo numero mi sono lasciato cogliere dalla foga che solo il mio Rum&Coca poteva trasmettermi. Erano i giorni immediatamente successivi alla morte di Saramago e, come al solito, conducendo la lotta armata al bar, io e Gianluca ci siamo avventurati in uno spinoso discorso sul Vangelo secondo Gesù Cristo del premio nobel portoghese.
In realtà, ora che i fumi del Rum&Coca sembrano essersi dissolti, non era un discorso poi tanto spinoso. Era chiaro e semplice: perchè editorialisti dell'Osservatore Romano hanno perso l'occasione di tacere e hanno continuato ad attaccare a man basse un intellettuale, scomodo, ateo e comunista ma pur sempre un premio nobel per la letteratura.

Ora che i fumi dell'alcol si sono dissipati e leggo il mio nome su quella rivista mi vengonoatroci dubbi: forse che i masnadieri sono effettivamente una compagnia di sbandati tanto da affidarmi un pezzo? e se il pezzo è venuto bene, fosse che è grazie al Rum&Coca?
Non so rispondere, forse un altro drink mi rinfrescherà le idee. Sicuramente mi servirà a brindare a questo nuova ventura.


Da la_Masnada_092.pdf:

Non sanno cosa scrivono

Disegno di Carmine Torchia.
Quando scompare un artista non è mai il momento giusto per ricordarne le gesta. Il rischio di cedere alla speculazione, tra derisione è mitizzazione, è solitamente molto alto. Più costruttivo, piuttosto che incensare l'artista, è tenere per sé qualcosa della sua arte: toccarla, guardarla, leggerla, farla intimamente propria. L'Osservatore Romano ha scelto la prima via ed ha ceduto al vizietto vaticano della dissacrazione di José Saramago e quindi, per contrappasso, noi scegliamo l'alternativa: parliamo de Il Vangelo secondo Gesù Cristo, il libro che costò al Nobel portoghese quasi una scomunica. Lo scelgo come amuleto affettivo nel momento della scomparsa di Saramago.
Lo scelgo perchè è un libro che racconta un'umanità essenziale, quasi rivoluzionaria nella sua spasmodica ricerca di un 'perché'; e, di colpo un'umanità troppo umana e piccola di fronte alla scoperta di questo 'perchè'. Quindi una storia comune, straordinaria nella sua ordinarietà di vicenda umana.
Saramago ha trasposto nel suo Vangelo un po' di apocrifi, nel tentativo di razionalizzare quel misticismo religioso che circonda Gesù le tracce di realismo materialista si alternano alle pennellate tipiche del romanzesco. La storia dell'uomo Gesù di Nazaret, che attraversa il deserto che porta alla Verità. Un'amara verità poiché il Gesù di Saramago, cercando di capire il perchè della sua vita incontra un angelo decaduto che smonta tutti i precetti religiosi, trova l'amore della Maddalena e quasi ripudia sua madre, incapace di ribellarsi alla condizione di sudditanza femminile, e infine scopre gli imperscrutabili disegni di Dio. Un Dio cinico e assetato di sangue, che chiede l'estremo sacrificio a suo figlio per attrarre più accoliti al suo credo.
Saramago non fa un ritratto di Gesù, ma raccontando il travaglio interiore di un uomo disvela i rischi che possono nascondersi nella fede ceca, o meglio dietro a chi la amministra. Infatti pochi mesi prima della sua morte Gesù incontra Dio su una barca; avvolti nella nebbia sul lago di Tiberiade, in quaranta giorni di dialogo Dio espone al figlio il suo piano: Gesù acquisirà la facoltà di compiere prodigi e tramite questi di coalizzare una serie di uomini fino alla rivolta contro i romani. La sua fama terrena diverrà gloria eterna ma solo dopo il martirio, e costerà tutte le violenze inflitte al mondo a causa di quel credo che si fonda sul sacrificio della croce: martirii e guerre, il genocidio delle streghe e degli indios, il colonialismo culturale, il malaffare del Vaticano, le crociate, l'oscurantismo. Gesù chiede il perchè del suo sacrificio, alla ricerca di una verità grande e universale e la risposta del Padre è cinicamente “per avere più fedeli”. Il Dio che Saramago tratteggia nel suo Vangelo è un dio che non ha le sembianze del saggio barbuto, quanto del manager spietato della multinazionale, col sigaro in bocca e l'anellone d'oro. Uno cui interessa solo la mole dei profitti, disposto a tutto pur di raggiungerla, fino a escogitare la più ardita operazione di marketing: sacrificare cruentemente suo figlio per suscitare l'interesse, l'amore, degli altri uomini. Insomma, una trovata pubblicitaria di cui nessuno più si scorderà. Tutti ricorderanno lo spot, ma non il prodotto.
E' nelle pagine sul diaologo tra Dio e Gesù che viene fuori la vera umanità che Saramago (autore “di nessuna ammissione metafisica” come ha scritto l'Osservatore) vuole comunicare: lo sgomento di fronte alla scoperta dell'assoluta irrazionalità della vita, soprattuto quando si è creduto di fare parte di un disegno superiore, e la rassegnazione di fronte al piano scellerato di Dio.
Anche se Gesù pur accettando il suo destino spera fino al suo ultimo respiro in croce che suo Padre, come tutti i padri, gli risparmi il supplizio. Quella speranza che spinge costantemente l'umanità a superare le sue miserie. Quella speranza terrena che ha spinto Saramago a mettere in bocca al suo Gesù agonizzante queste parole: “Uomini perdonatelo perchè non sa quello che ha fatto”.
Lo stesso dicasi dei moralisti d'oltre Tevere: "lettori, perdonateli perchè non sanno cosa scrivono".

Antonio Borelli

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