L'AltraSersale

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In occasione del 25 aprile abbiamo ri-lanciato le nostre parole d'ordine per recuperare un'idea di sinistra, un profilo di Italia. Oggi tocca a lavoro e libertà.
Il binomio della Festa della Liberazione era infatti resistenza/antifascismo proprio per sottolineare l'importanza dei valori fondativi della nostra repubblica e il loro valore nella lotta di liberazione condotta dai partigiani, parole che un certo revisionismo sta tentando di svuotare del loro significato.
Lavoro e libertà hanno seguito un percorso analogo. Lavoro è parola bandita nel nostro vocabolario quotidiano, mentre libertà è così inflazionata che ha perso il suo significato autentico. Ma andiamo per gradi.

La parola lavoro è completamente sparita dal suo uso quotidiano perchè sono sparite le condizioni elementari del lavoro: sicurezza, certezza e dignità del lavoro. Il lavoro di oggi è al contrario poco sicuro; sono più di mille i lavoratori che ogni anno perdono la vita nei cantieri, nelle fabbriche, nei campi. I più colpiti sono giovani, immigrati, impiegati nell'edilizia e in agricoltura: uno spaccato che ci dice chiaramente come e dove si colpisce il lavoro.
La sicurezza è messa in discussione dal caporalato in agricoltura (dove spesso gli immigrati lavorano piegati nei campi per pochi euro al giorno e a contatto con agenti chimici), è messa in discussione dalle speculazioni edilizie (l'indotto criminale sugli appalti, subappalti e forniture è causa della logica del risparmio sulla manodopera), è messa in discussione dalle connivenze tra controllori e controllati: sindacati e ispettorati hanno le armi spuntate difronte a forme contrattualistiche sempre più selvagge, hanno pochi organici e spesso sono poco retribuiti e pertanto suscettibili di ocrruzione da parte dei padroni.
La certezza del lavoro è precarietà per legge. La cossiddetta legge Biagi (L.30/2003) è la causa principale della precarizzazione dei contratti di lavoro. La domanda di flessibilità è stata trasformata in nuovo e prepotente strumento di sfurttamento del lavoro non solo manuale ma anche intellettuale. Ricercatori e telefonisti, medici e operai lavorano ad ore, a proviggione, senza diritti nè garanzie. E' come se, con un balzo di secoli, i lavoratori si trovassero in condizioni lavorative simili agli albori della rivoluzione industriale, quando una massa informe di straccioni elemosinava la sussistenza nelle miniere.
Il combinato di precarietà e insicurezza porta con se la scarsa dignità del lavoro. Mancanza di diritti e doveri, la paura di rimanere senza lavoro, contratti che non lasciano nulla alla collettività, politiche rapaci degli imprenditori hanno reso il lavoro di qualità poco conveniente. Stiamo assistendo alla più potente ritirata del fronte dei lavoratori che la storia abbia mai conosciuto. Dopo 150 di movimenti operai mondiali, ovunque, la lotta è tacitata, la contrattazione diventa individuale e questo mina alla base l'avanzamento delle conquiste. Si è scatenata una guerra tra poveri.

Ovviamente la riproposizione di dinamiche lavorative simili alle condizioni premoderne, caratterizzate da nuove forme di schivitù, porta con se un crollo del fronte della libertà. Infatti non c'è libertà senza lavoro. Nel lavoro infatti l'uomo si riappropria delle merci, le fa sue e le trasforma; nel salario è contenuta la forza-lavoro e il diritto degli uomini a non essere sfruttati. L'indipendenza economica è precondizione per la libertà di pensiero e di espressione, è strumento materiale della libertà di azione. Questo ce l'ha spiegato chiaramente Karl Marx e ha individuato nei lavoratori la forza motrice della storia, coloro che determinano i rapporti di forza tra le classi sociali. La vittoria dei lavoratori sullo sfruttamento e la schiavitù è però possibile solo se si pensa e si agisce con coscienza di classe: la lotta dei movimenti operai, dei sindacati è lotta di classe e ha imposto la tutela del lavoro. Da questa lotta è scaturita una domanda di democrazia e di partecipazione che costituiscono l'ambiente naturale per l'esercizio della libertà.
A questo deve essere ricondotto il significato della parola libertà, al suo intimo legame col lavoro. Non alla libertà-libertinaggio di matrice berlusconiana; la libertà consumistica spinta al suo limite della mercificazione di ogni cosa e valore.

L'occupazione che il berlusconismo ha fatto della parola libertà, e il conseguente oscuramento del conflitto di lavoro, è la causa della perdita di senso della sinistra. Sinistra senza poter parlare di lavoro non ha ragion d'essere. Sinistra senza lavoratori non può esistere. E invece qui assistiamo alla completa solitudine del
lavoratore. La sua inacapacità di trovare supporto in un gruppo, l'abbandono della sua causa da parte delle sinistre moderate e riformiste, l'aggressione del padrone, la precarietà delle relazioni.

In occasione della festa dei lavoratori, la data simbolo delle conquiste operaie (dalla prima legislazione sulla giornata lavorativa di otto ore nel 1884), è opportuno ribadire con forza, e non solo al concertone romano, ma quotidianamente e ovunque, la dignità del lavoro. La dignità del lavoratore.
Questo è un'obiettivo fondamentale se la sinistra vuole tornare a parlare al popolo, in un paese che è quotidianamente spolpato da finanzieri senza scrupoli, dove imprenditori disinvolti assumono, truffano e licenziano, dove la malavita sfrutta e mortifica il lavoro, dove i politici trasformano i diritti in merce e consenso.
E' proprio qui che bisogna difendere il lavoro, per avere la libertà.





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Commento da Rifondazione Sersale su 3 Maggio 2010 a 9:42
Caro Franco,
innanzitutto grazie a te per aver letto e, soprattutto commentato, i nostri post recenti dimostrando di avere a cuore le parole d'ordine del nostro paese: resistenza e antifascismo la settimana scorsa, lavoro e libertà in questi giorni...
beh, inutile dire che nel caso in cui dovessimo fare la rivoluzione un posto da ministro dell'economia non te lo toglierebbe nessuno!
Tu hai offerto dei commenti molto tecnici e hai introdotto un tema che non avevamo trattato: la crisi del capitalismo. Non solo come sistema economico, ma come sistema sociale il capitalismo sta fallendo. 20 anni di globalizzazione selvaggia ci lasciano in eredità ecosistemi devastati, relazioni sociali deturpate e qualità della vita minacciata da razzismo, sessismo e crisi economica. Quello che sta succedendo in Grecia è una finestra sul nostro futuro: tu chiedi perchè si va tutti all'università e nessuno fa l'agricoltore? perchè i prezzi e le tasse non rispettano il valore che dovrebbero avere?
La risposta è elementare: il sistema-italia ha puntato a distruggere materialmente, creando contratti di lavoro infami, qualsiasi forma di lavoro (fare il ricercatore ormai non ha nulla di diverso dall'essere metalmeccanico); lo stesso avviene sul piano culturale, ormai il modello vincente è il calciatore/velina, possibilmente evasore, truffatore, amico dei mafiosi e anche mezzo tossico...
Quello che succede è che è crollato qualsiasi progetto di società per cui nessuno si sente partecipe di un lavoro comune e ognuno cerca la scorciatoia per sopravvivere. Purtroppo i politici attuali, non offrono modelli interessanti. Ci spetta perciò crearli da noi!
A presto
Commento da Franco Lia su 2 Maggio 2010 a 17:03
Caro Compagno,ti ringrazio nuovamente per l'assoluta qualità redazionale di questo esatto riassunto della situazione italiana. E un piacere leggerti è un dispiacere ricordarmi la catastofe umana e sociale che si è abbatutta sulla socièta italiana da due decenni. Pero dimentichi qualche cosetta...
Vogliamo informare i nostri cittadini, che l'Italia era già in crisi prima di quest'ultima ? Vogliamo dire che ci sara una ripresa soltanto in 2014? Ma senza nuove assunzioni? Vogliamo dire ai nostri cittadini che devono impegnarsi per svilluppare e/o complementare le loro compentenze di fronte ad un mercato sempre più esigente di qualità e novità? Vogliamo dire che come la Grecia ci sarà una drastica riduzione dei diversi Enti con licenziamenti e reduzione dei stipendi della PA? Vogliamo dire che dalle medie all'Università salvo qualche eccezioni, la formazione è di quazzo? Vogliamo dire ai nostri cittadini di non più mandare loro figli all'Università dove certe Lauree non valgono un quazzo e servono da parcheggio per disoccupati? Che per snobismo, non si imparra più un mestiere tradizionale? Fa schiffò diventare saldatore? Muratore? Meccanicco? Agricoltore? Facile criticare mi diranno ma ecco qualche piccole vie di uscita.
La risposta maggiore: non più imaginare il bene-essere in funzione del PIL di un paese.
Rifiutare di copiare modelli fasulli prodotti dalla macchina pubblicitaria e informarne i nostri figli per rimodellare una coscienza di classe invece di farli crescere nell''inconscienza totale dello funzionamento della nostra sociètà. Invgertire la tendenza del triangolo di saturno che mira a ripprodurre integralemente il modello paterno della nostra sociètà. A traverso il rinnovamente generale del personale docente non più idoneo a fronteggiare la nostra realtà e rivalorizzando quelli che limitano l'abandono scolastico.
Assumere a tutto posto di lavoro personne dotate di compentenze e non dotate di carte di partito. Tassazione e dimunzione a 50% dei stipendi e politici, imporre le 32 ore settimanale con ridistribuzione delle ore non prestate ai i disoccupati per finanziare la perdità di competitività delle aziende.
Dare prestiti sociali a piccoli imprenditori che non hanno accesso al mercato finanziario tassando gli utili della speculazione borsistica raddopiando la TOB e tassare al 25% il popolo dei bot.
Favorire la vendità diretta dei prodotti dell'agricoltura al mercato locale e quello della GDO rispettando i prezzi di produzione con lavoratori dichiarati quest abolando tutto gli intermediari e speculatori.
Armonizzare agevolazioni fiscali per le assunzione dell'edilizia e favorire investimenti pubblici mirati a svillupare ferriovie, trasporti pubblicci e strade locali al fine di facilitare la mobilità delle merce e personne.
Questo verebbe finanziato con l'eliminazione di tutte le pensioni date ai i politici con effetto retroattivo fine alla 1° reppublicca. Tutti i politici a venire sono responsabili personalmente e giuridicamente delle loro scelte.
Ecco qualche vie per sopravivere un'altro pocho in modo decente.
Ciao Franco Lia

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