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Quando i TG parlano di barconi di disperati, di barbari alle frontiere, non specificano mai una cosa: come mai questi uomini partono. La storia dell'umanità è piena di eventi eccezionali, efferate violenze o calamità, per cui singoli, comunità o interi popoli sono stati costretti a muoversi. Ma le ragioni che determinano le migrazioni sono completamente espunte dal dibattito politico sull’immigrazione.

La lotta mondiale al nazifascismo e l’esigenza di dare un futuro a quei milioni di cittadini che fuggirono dalla guerra e dalla persecuzione, portarono alla stipula della Convenzione di Ginevra nel 1951. Di li a poco, il processo di decolonizzazione avrebbe aumentato il numero di frontiere e reso necessario, in virtù delle violenze connesse ai movimenti di liberazione e ai colpi di stato, un sistema di protezione per le vittime di ritorsioni etniche, di tortura e trattamenti inumani per ragioni politiche e culturali (si pensi alle mutilazioni genitali femminili o alla sharia).

La convenzione di Ginevra indica espressamente le cause per le quali può essere riconosciuto il diritto d'asilo:

Art. 1 Definizione del termine di "rifugiato"
il termine di "rifugiato" è applicabile:
2) a chiunque e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato;


Grazie al suo impianto quasi direttamente applicabile, e in stretto collegamento con la Dichiarazione Universale dei diritti umani, la Convenzione di Ginevra sancisce per coloro ai quali venga riconosciuto lo status di rifugiato:
- Il diritto alla proprietà mobiliare e immobiliare, nonché la protezione della proprietà intellettuale (artt. 13-14);
- Il diritto d’associazione, alla libertà religiosa e la possibilità di adire i tribunali (artt. 15-16);
- Il diritto di esercitare professioni dipendenti, libere e liberali (artt. 17-18-19);
- Il godimento di pari condizioni con la popolazione residente in materia di alloggio, assistenza sanitaria, educazione in età minorile (artt. 20-21-22-23);
- Il godimento di pari condizioni con la popolazione residente in materia di lavoro e previdenza sociale (art. 24);
- Il diritto all’assistenza amministrativa per l’ottenimento di documenti e atti amministrativi (art. 25).

In virtù di una costituzione lungimirante e del processo di unificazione europeo, l'ordinamento italiano si conforma a quello internazionale, ma spesso esigenze finanziarie o orientamenti politici altalenanti decretano l'inapplicazione de facto degli obblighi contratti.

Dai primi anni '90, l'Italia ha smesso di essere paese d'emigrazione per diventare paese d'immigrazione per lo scioglimento del blocco sovietico e per le crisi politico-umanitarie dei paesi africani - paesi interessati da guerre civili, genocidi e violazioni dei diritti umani in ragione di contrapposizioni claniche, regimi militari, connivenze con gli interessi economici spregiudicati o criminali.

In Italia, la difficoltà dei rifugiati è quella di ottenere un documento, che in sostituzione del passaporto, possa essere valido per la richiesta dell’assistenza sanitaria, per la locazione di un alloggio o semplicemente per spostarsi in un altro paese.

Su questo terreno, con la stretta del governo sui migranti e una generale inadeguatezza della pubblica amministrazione, possiamo asserire che il soddisfacimento di alcuni diritti essenziali dei rifugiati diviene complicato a causa di “sottigliezze burocratiche”. Spesso gli ufficiali di anagrafe non riconoscono la ricevuta della richiesta d'asilo come documento sostitutivo di quello d'identità e il richiedente non può ottenere un domicilio ove essere rintracciabile, un codice fiscale per l'assistenza sanitaria. A volte capita che gli uffici preposti non sappiano che ai rifugiati spetta anche la previdenza sociale e che in materia di lavoro e contratti sono assimilabili ai cittadini italiani. In generale sussiste una carenza di informazioni.

Non solo il parlamento non ha provveduto ad uniformare la legislazione, ma la pubblica amministrazione risente di un eccessivo ritardo culturale rispetto al tema migratorio: il semplice dato che ancora pochi funzionari pubblici, negli enti locali, negli ospedali, in questura, abbiano padronanza di una lingua straniera dimostra quanto sia lunga la strada da percorrere.

Il decreto sicurezza introduce novità rilevanti: l'inasprimento delle procedure e delle sanzioni per i non italiani.
Le operazioni di respingimento dei migranti ad opera delle forze dell'ordine violano - come ha ribadito qualche settimana fa il Segretario Generale dell'ONU e il responsabile UNHCR per l'Italia - il divieto di refoulement (art. 33) e la stessa legge sull'immigrazione (diritto di richiedere asilo politico). Infatti un respingimento incondizionato dei barconi dei disperati, oltre che verso paesi in cui vengono chiaramente violati i diritti umani (come la Libia), non permette alle autorità di conoscere chi e perché cerca di entrare nel territorio dell'Unione. E impedisce di porre un discrimine netto tra l'immigrazione di soggetti dediti ad attività criminali e soggetti in fuga dalla violenza.
Per i richiedenti asilo si pone, inoltre, il problema dell'accoglienza e del contatto costante con gli uffici del ministero dell'interno. Trovare un domicilio, un sostentamento e curare la propria pratica per la richiesta dell'asilo sono problemi concreti che richiederebbero un intervento dello stato più strutturato.

Ma nonostante gli sforzi compiuti dalle cosiddette reti locali, risalta la debolezza della politica delle migrazioni in Italia. Tra il melting pot americano e l'assimilation francese l'Italia sembra aver scelto, fin da principio, una politica di trattamento burocratico dei migranti, delegando l'integrazione alla scuola, alla TV e alle reti di associazioni. Ciò vale per i migranti in senso lato, ma pesa soprattutto per i richiedenti asilo, verso i quali lo Stato ha assunto precisi impegni internazionali che invitano gli stati ad attuare una integrazione sostanziale dei rifugiati.

La Convenzione è ancora applicabile grazie al suo impianto in grado di prevedere diritti e doveri specifici ed elementari per i richiedenti asilo. Tuttavia andrebbe avviata una fase di riflessione e d'aggiornamento: se nel 1951 le principali cause di violenza sui cittadini provenivano dagli stati e dai loro apparati, oggi per effetto della globalizzazione e del cambiamento climatico ci si dovrebbe chiedere se ci sono altri fenomeni che possono o meno conferire il diritto di richiedere asilo presso altri paesi. Chernobyl, o Katrina, la violenza dei cartelli della coca colombiani, o delle bande della mafia russa, il lavoro minorile nel sud-est asiatico o i disastri ecologici imputabili alle multinazionali: questi fenomeni possono essere considerate “giustificati timori di persecuzione”, come recita la Convenzione? Un maggiore sforzo nella cooperazione internazionale potrebbe già costituire un impegno a rimuovere le cause che spingono all'esodo migliaia di uomini dai vari Sud del mondo.

Ma non ci è dato sapere se questo governo abbia letto la Convenzione di Ginevra.

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