L'AltraSersale

Un nuovo modo di essere comunità. Un mondo nuovo.

Care compagni/e,

è cronaca di questi giorni il ritorno in campo di Berlusconi contemporaneo al ritiro dell'appoggio di AlFano alla maggioranza Monti.

Ebbene è gran parlare di questi momenti di dimissioni, reazioni delle forze politiche, spread e alleanze politiche.

In altri termini il nostro paese è ostaggio dello Spread e del Viagra.

Infatti l'annuncio populistico di Berlusconi - torno perché non posso lasciare un paese in queste condizioni, come se il PdL non avesse votato tutte le vergogne del governo Monti - è frutto principalemente delle sue impennate di testosterone: ovvero la paura matta di finire in galera per i vari procedimenti in corso.

Parallelamente alla (ri)discesa in campo c'è l'impennata dello spread, ovvero un giudizio di affidabilità che le borse danno al governo italiano e alla sua economia. In altre parole ad uno spread più alto corrisponde una più alta probabilità di fallimento dello stato. Esatto, fallimento. Perché ciò che nessun giornale riporta è l'assoluto fallimento del governo Monti e dei partiti politici che lo sostengono (PD-PdL-UdC).

Infatti un anno fa Monti fu chiamato da Napolitano per rimettere in ordine i conti dello stato, e il governo dei tecnici, con grande scienza infusa, lo ha fatto perseguendo due linee di principio: far pagare a tutti i danni provocati da 20 anni di berlusconismo e di politiche liberiste, distruggere 40 anni di conquiste sociali e di diritti.

Nessun giornale dice che:

  • l'IMU serve allo stato per ripagare il debito pubblico contratto con le banche;
  • le banche hanno ricevuto dalla BCE un fondo di 60mld di € per 'sostenere' il debito pubblico italiano e hanno chiesto allo stato 20 mld di interessi, non era meglio che la BCE prestasse i soldi direttamente allo Stato Italiano? Quindi tra i cittadini e le banche il governo ha deciso di salvare le banche dalla crisi;
  • per avere il salvataggio delle banche la BCE ha richiesto al governo italiano alcuni sacrifici: taglio della previdenza e del welfare, taglio all'istruzione, taglio del costo del lavoro.

Nessun giornale dice che il Governo Monti è autore della più grande contrazione dei diritti che si sia consumata in Europa dal dopoguerra: le conquiste sociali degli ultimi 50 anni spazzate via con una legge finanziaria.

Nessun giornale dice che in nome della tenuta dei conti il governo ha cancellato l'art. 18 (che tutela i lavoratori dall'ingiusto licenziamento), il contratto collettivo nazionale; ha varato la controriforma delle pensioni Fornero - l'innalzamento dell'età pensionabile (70 anni) rende difficile l'accesso ai nuovi lavoratori alle tutele pensionistiche, comportando l'insostenibilità del sistema di previdenza; che la riforma del mercato del lavoro ha prodotto l'aumento del tasso di disoccupazione fino al 12% della popolazione e della precarietà.

Che le politiche di spesa incotrollata dei politici e delle loro cricche nel ventennio Berlusconiano ha fatto esplodere il debito pubblico portandolo a oltre 200 mld di euro. Nessun giornale dice che tagliano la sanità per comprare i caccia eurofighters, tagliano la scuola per fare la TAV.

Nessun giornale vi dice che il PD è corresponsabile di questa macelleria sociale, avendo votato tutti i suddetti provvedimenti. E addirittura ha ribadito nella sua carta di intenti, sottoscritta anche da Vendola, che il prossimo governo seguirà nel solco traccitao dal Governo Monti.

Nessun giornale vi dice che negli altri paesi europei le forze di critica radicale al fiscal compact hanno consensi a due cifre. Nessuno vi ha detto che i movimenti studenteschi e di protesta contro le lobby finanziarie e l'Europa dei banchieri stanno costruendo un'alternativa al neoliberismo. Nessuno vi dice che la sinistra riformista (quel PSOE cui si rifà il PD) è ormai scomparsa e che Izquierda Unida (l'unione della sinistra comunista ed ecologista) è il principale oppositore del governo di Madrid che ha imposto tagli ben più gravi dell'Italia. Che in Grecia Syriza (l'unità della sinistra anarco-comunista) è la principale forza del paese ma è stata esclusa dal governo per non turbare le oligarchie europee.

Nessun giornale vi racconta delle battaglie che stiamo conducendo in Italia: i referendum sul lavoro, la resistenza della FIOM al modello Pomigliano voluto da Marchionne, la tutela della salute all'Ilva come in Val di Susa, gli studenti contro i tagli di Profumo, la difesa dei beni comuni come l'acqua.

Nessun giornale vi racconta che è in atto la costruzione di un'alternativa anticapitalista e di critica radicale al liberismo montiano, al berlusconismo, e anche al consociativismo di questo centrosinistra.

Non vi raccontano che esiste un popolo della sinistra che non accetta di sottostare ai diktat della BCE e del suo emissario Monti, che non tollera la politica dei due forni di Casini o le urla qualunquiste di Grillo e che non sopporta che la sinistra muoia con le primarie del PD.

Nasce proprio dallo scolorirsi del centrosinistra, dalla rinuncia a mettere in discussione il fiscal compact, ovvero l'insieme delle politiche che stanno mettendo in crisi la popolazione e il futuro, la volontà di costruire un'alternativa. Dal basso e contro le cricche, i poteri forti, i privilegi della chiesa e dei politici, lo strapotere delle banche... dal basso e dai territori, lotte e battaglie unite contro il montismo. Per la sinistra.

Per la rifondazione della POLITICA:

All'alternativa bisogna crederci:

10 punti programmatici minimi irrinunciabili di Cambiare #sipuò:

1. Sì a un’Europa dei cittadini, alla rinegoziazione del debito pubblico e delle normative europee al riguardo attraverso una alleanza dei Paesi mediterranei oggi devastati dalla crisi e a un progetto di riconversione di ampi settori dell’economia in grado di rilanciare l’occupazione con migliaia di piccole opere di evidente e immediata utilità collettiva. No all’Europa delle banche e dei banchieri e delle politiche recessive in atto.

2. Sì a un grande progetto di riconversione ecologica dell’economia e di riassetto del territorio nazionale e dei suoi usi per garantire la sicurezza dei cittadini e la riduzione del consumo di suoli agricoli. No alle grandi opere (dal Tav Torino-Lione al Ponte sullo stretto e al proliferare di autostrade e raccordi) inutili, dannose all’ambiente e alla salute ed economicamente insostenibili.

3. No a contrazione del lavoro e al precariato e alla riduzione di fatto dei salari e delle pensioni. Sì al ripristino delle tutele del lavoro e dei lavoratori cancellate dai Governi Berlusconi e Monti (anche con sostegno ai referendum) e alla sperimentazione di modalità di creazione diretta di occupazione, anche in ambito locale, all’introduzione di un reddito di cittadinanza, al potenziamento degli interventi a sostegno delle fasce più deboli e dei presidi dello stato sociale (nella prospettiva di un welfare dei diritti e non di forme di assistenzialismo caritatevole).

4. No agli attuali costi fuori controllo della politica e alla rappresentanza come mestiere. Sì alla autonomizzazione della politica dal denaro, all’abbattimento dei relativi costi, alla previsione di un tetto massimo per i compensi pubblici e privati, all’azzeramento delle indennità aggiuntive della retribuzione per ogni titolare di funzioni pubbliche.

5. Si a un’imposizione fiscale più incisiva sui redditi elevati, sui patrimoni e sulle rendite finanziarie (con estensione alle proprietà ecclesiastiche). No ad aumenti delle imposte indirette e a inasprimenti della fiscalità nei confronti dei redditi medio-bassi.

6. Sì a un’azione di ripristino della legalità, di contrasto della criminalità organizzata, dell’evasione fiscale e della corruzione con recupero di risorse da destinare a un welfare potenziato e risanato dal clientelismo. No alle politiche dei condoni e alle leggi ad personam.

7. No a tutte le operazioni di guerra e drastica riduzione delle spese militari. Sì alla destinazione dei corrispondenti risparmi e di risorse adeguate a sanità, scuola pubblica, ricerca e innovazione (nella convinzione che sapere e istruzione sono prerequisito della democrazia e intervento strategico).

8. Sì a politiche di valorizzazione dei beni comuni e a forme di sostegno e promozione delle esperienze di economie di cooperazione e solidarietà. No allo svuotamento di fatto dei referendum del 2011 e alla vendita ai privati dei servizi pubblici locali.

9. No ad ogni forma di discriminazione e di razzismo (e alle leggi che ne sono espressione, a cominciare dalla Bossi-Fini). Sì al pieno riconoscimento dei diritti civili degli individui e delle coppie a prescindere dal genere, a una cultura delle differenze, a politiche migratorie accoglienti e all’accesso alla cittadinanza per tutti i nati in Italia.

10. Sì a una riforma democratica dell’informazione e del sistema radiotelevisivo che ne spezzi l’attuale subordinazione al potere economico-finanziario. No al conflitto di interessi e alla concentrazione dell’informazione.

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