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C'è qualcosa di perverso nella proposta di Marchionne, quella che anche sindacati un tempo attenti ai diritti dei lavoratori hanno sottoscritto negli ultimi giorni del 2010. E' qualcosa di violento e antidemocratico, che ha il sapore per alcuni versi del corporativismo fascista e per altri del caporalato ottocentesco.

 

In sostanza Marchionne, dall'alto della sua poltrona di supermanager di Fiat-Chrysler, ha proposto questo tipo di accordo alle sigle sindacali italiane: si mantiene la produzione di auto a Mirafiori e Pomigliano solo se i lavoratori accettano l'aumento delle ore di lavoro anche al sabato, la riduzione delle pause alla catena di montaggio, la riduzione degli spazi di rappresentanza e di partecipazione degli operai alle scelte aziendali, la auto-compressione del diritto di sciopero. Se i lavoratori non accettano la FIAT se ne va dall'Italia.

 

Secondo eminenti politici e giornalisti anche riformisti si tratta di una proposta, secondo noi è un ricatto: il caporale la mattina fa questa domanda: "vuoi lavorare per 20 euro?", se il lavoratore dice che gli spetterebbe almeno il doppio allora non lavora, altrimenti deve piegarsi alla voce del padrone. Il gerarca chiede: "sei iscritto ad un sindacato?", se la risposta è affermativa allora il lavoratore viene sbattuto fuori dalla fabbrica.

 

In un solo giorno, mentre le azioni Fiat lievitavano in borsa, le condizioni del lavoro in Italia sono peggiorate di 150 anni. E parliamo di un settore in cui le conquiste ci sono state, figuriamoci del precariato!

Il ricatto di Marchionne fa leva sulla crisi, sulla disoccupazione e mira a scardinare i rapporti sociali in Italia, rimuovendo definitivamente il conflitto di classe, cancellando i diritti ed emarginando i sindacati riottosi, quelli che ancora non si sono piegati alla logica del profitto.

La Fiom ha detto no a questo ricatto e scenderà in piazza il prossimo 28 gennaio. Numerosi sono gli appelli, di intellettuali, società civile, economisti perchè in Italia non si celebri la morte del lavoro con la proposta Marchionne.

 

La zavorra della Fiat non sono i lavoratori, nè tantomeno i sindacati di sinistra, ma è proprio l'auto il problema. Il settore è in profonda crisi da decenni e ancora si continua a produrre un prodotto antieconomico, antiecologico, e inutile. Molti economisti hanno sostenuto che le aziende del settore dovrebbero riconvertirsi all'industria del futuro. Wolkswagen ha trasformato i suoi motori in caldaie per la produzione di energia elettrica condominiale, altri hanno virato verso i veicoli ibridi o elettrici, dimostrando (come certificano i tassi di crescita tedeschi) che l'economia del futuro è l'economia verde.

Quello che Marchionne propone ai lavoratori non è un'esigenza d'impresa, cioè ridurre i costi del lavoro per affrontare la crisi. Marchionne vuole semplicemente evitare di competere con gli altri sul livello tecnologico e produttivo; ha sostanzialmente scelto il sistema cinese: abbassare i costi del lavoro per rendere più economici i propri prodotti.

 

E parallelamente la proposta Marchionne è l'apripista di un pericoloso precedente: se la maggiore impresa italiana propone un contratto di lavoro che limita le conquiste salariali e i diritti di sciopero e rappresentanza, minando la democrazia interna della fabbrica, figuriamoci cosa possono fare le altre imprese. In soldoni, si vuole distruggere il contratto collettivo nazionale per trasformare in precariato ogni forma di lavoro.

 

Ovviamente il disegno Fiat è avvallato da Confindustria e Governo, che da decenni puntano a fiaccare lo stato sociale, a ridurre il conflitto sociale, e attraverso la precarizzazione delle esistenze limitare la vita democratica del paese: un lavoratore precario è un servo, un lavoratore senza diritti non è un cittadino.

 

Per questo è necessario mobilitarsi contro questo scellerato disegno. Quando fu varata la legge Biagi, sull'onda dell'emozione per il barbaro omicidio del giuslavorista, tutti si sbracciarono per salutare i nuovi contratti di lavoro "flessibili". Gli apologeti del capitalismo come Ichino, narravano di profetiche opportunità per imprese e lavoratori: in realtà la storia la conosciamo tutti, la flessibilità è diventata precarietà e un'intera generazione non solo ha perso i propri diritti sul lavoro ma ha smarrito anche il futuro.

Non possiamo permettere che ciò avvenga nuovamente.

 

(Bertold Brecht)

 

 


 

 

 

 

 

 

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