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Josè Mourinho è stato il personaggio più nuovo e curioso in un campionato che ormai è una ripetizione a colori alternati al nero (prima strapotere rossonero, poi bianconero e oggi nerazzurro).
Innanzitutto si presentò alla stampa con un perfetto italiano esportando in Italia un modello di professionalità e di perfezionismo, anche se spesso solo mediatico, completamente estraneo alle castronerie che dicono i nostri tecnici.

In molti, più delle prevedibili partite dell'Inter hanno atteso le conferenze del portoghese: perché, da vero attore e perfetto vanesio, è quella la sua migliore collocazione. La comunicazione. La strategia.

Il fatto di stupire, choccare, superare e anticipare i tempi della comunicazione giornalistica italiana, è questo il lato grandioso di un tecnico, molto spesso più prossimo all'arroganza che alla simpatia.
"Io non sono un pirla", la sua prima frase in lingua italiana con metafora lombarda; e le schermaglie, le accuse alla stampa ("In Italia c'è troppa prostituzione intellettuale", e forse Mou non legge di politica!); "zero tituli"con il quale ha marchiato indelebilmente Juve e Milan. A lui i tituli, di giornale, non mancheranno mai.

Uomo scaltro, forse anche colto, Josè Mourinho sa in che mondo vive e sfrutta le sue intuizioni con estro e furbizia tattica: il guaio è che ci cascano tutti. Da Mourinho si può essere affascinati oppure detestarlo: in un mondo fatto di poca sostanza, e non solo nel calcio, è ovvio che sia diventato uno "special one" che di speciale ha soprattutto la forma e non la sostanza. Nell'ipocrisia e banalità che governano l'ambiente del calcio italiano, dove la piattezza dialettica è legge e dove tutti stanno allineati e coperti (in ossequioso rispetto dei poteri forti), uno come Mourinho svetta.
E' la manna dei giornalisti e delle tivù, e obbliga tutti colleghi e uscire allo scoperto. Furbinho

Sulla stampa non calcistica in molti si sono sbilanciati in ritratti devastanti o in preziosi florilegi. Piace perchè “somiglia a D’Alema” (il Foglio), irritante, arrogante, pungente, con quell'aria da 'io so tutto'. Piace perchè sembra che ci sia in lui qualcosa di leninista-maoista-decisionista (La Repubblica), per proseguire lungo le affabulazioni giornalistiche.

Sul Manifesto, quando Mourinho ebbe il coraggio di mandare i giornalisti a quel paese accusandoli di prostituzione intellettuale, si cominciò a strizzare l'occhio a quest'uomo che non smette mai di parlare, che affascina, che ammalia. Ma allo stesso tempo si consigliava di diffidare dei paragoni tra il calcio e la vita - la politica, la storia e tutto il resto. (purtroppo la politica non ha il suo Mourinho, c'è quell'altro, che però gioca sempre in casa, Berluschinho)

A proposito di paragoni, quando ci fu in ballo un film sulla vita di Mourinho, lui stesso indicò l’attore che avrebbe potuto interpretarlo sullo schermo: George Clooney. Nel florilegio delle sue dichiarazioni, poi, ce n’è una definitiva: “Non sono il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia meglio di me”.

Finte domande, finte risposte, domande che contengono già la risposta, risposte a domande mai pronunciate, e qualche volta né domande, né risposte. Ci si fa l’abitudine, al grande standard del giornalismo italiano. Solo che a Mourinho basta uno sguardo soltanto per buttare giù tutto il teatrino. Sottotitolo: “Perché non la finiamo tutti di prenderci sul serio e andiamo a mangiare due spaghetti che ho fame?” Ecco, lo dice lo dice. Poi: se non lo ha detto stasera lo dirà sicuramente settimana prossima. E così via. Una volta su Sky, a Mario Sconcerti ha detto così: “Io a cena con te non vado perché non sei mio amico. Io vado a cena soltanto coi miei amici. Tu non sei mio amico. Se parliamo di calcio, parliamo di calcio”;fino a spingersi alla definitiva dichiarazione neosituazionista; “Io parlo con voi, parlo dopo le partite, perché ho un contratto, perché sono obbligato, perché il mio club ha un contratto”.
Questo per dire che Mourinho è un alieno per il piccolo mondo del calcio italiano, quindi ci sta molto simpatico, ma poi è un allenatore come tutti gli altri.

Quindi restiamo sintonizzati. Possiamo attenderci grandi cose, tipo sapere finalmente cosa vuol dire esattamente “giocare tra le linee”. O anche: D’Alema è ancora una speranza per una certa sinistra? Con Lenin allenatore la Roma avrebbe vinto più scudetti e avuto meno rigori contro? I giornalisti sono dei gran marchettari?

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