Se la domenica di Pasqua il Salvatore risorgeva a nuova vita, il giorno dell’Angelo su Sky avveniva un altro “deicidio”: l’uccisione dell’
”Unto del Signore” nostrano nel film
“Shooting Silvio”(2007) di Berando Carboni, realizzato con 150 mila euro messi a disposizione dalla produzione. Però la notizia è un'altra: subito monta la polemica.
Il protagonista, Kurtz (non a caso, nome del colonnello di Apocalypse Now incline all’inquietudine e al delirio), è un giovane scrittore che propone ai suoi amici di scrivere un libro-vademecum che possa servire a sbrindellare il potere del Premier. Mettendo in discussione il potere della parola, il giovane scrittore che vive una vera destabilizzazione culturale provocata dall'ossessiva presenza del premier in ogni anfratto della società commerciale italiana, vira verso una linea più incisiva: progetta il rapimento e l’omicidio di Silvio Berlusconi.
“C’è un lato A ma non c’è un lato B. Prima c’era voglia di lato B, ora no: chi stava con Berlusconi, sta ancora con lui. Chi non stava con lui, ora ha rinunciato alla battaglia". Una delle verità che traspaiono dalla pellicola.
Nel film anche un cameo del giornalista Marco Travaglio, che dissociandosi però da un possibile attentato al Premier dice:
“è bene che sia pure in posizioni indebolite, sia pure nei ranghi che gli sarebbero consentiti da qualunque altra democrazia, quindi non dall’Italia. Rimanga Berlusconi come una specie di testimone di come si può diventare quando si perdono i sensi veri della democrazia”.
Travaglio non ha dovuto recitare visto che nella vita reale, pensa esattamente le stesse cose. A lui il regista consegna la frase più importante,
una citazione di Gaber:
“Non mi preoccupa Berlusconi in sé ma Berlusconi in me”.
Inoltre, l’autore gioca sul valore polisemico del verbo inglese “to shoot” che significa “sparare” ma anche “filmare”.
Il regista, a fronte delle polemiche scatenatesi, precisa che il film non vuole essere un’apologia di reato (del resto, un film di guerra non è un inno alla guerra) ma un’occasione per riflettere. Il film, per chi lo avesse visto, è un invito a dar voce alle proprie idee. Una sorta di catarsi, di liberazione. Una cerimonia purificatrice, un banchetto su cui sacrificare l’oggetto della contaminazione.
Si vuole dar voce al disagio di una generazione che non crede nel mito disegnato da quest’uomo; una generazione cresciuta a pane e TV commerciale, dalla quale negli ultimi 15 anni ha appreso solo come intraprendere la via più breve verso il successo, la futilità, la furbizia, l'individualismo.
Un mito, quello berlusconiano, che conosce una profonda contraddizione con la realtà: non tutti saranno veline, calciatori, o imprenditori di successo; soprattutto in questa società in cui precarietà e crisi sono le dinamiche dominanti.
Ma ogni mito ha bisogno di una continua ripetizione, di una liturgia, per avverarsi. La TV spazzatura, la distruzione della scuola e della cultura di massa sono i comandamenti. Politici compiacenti, giornalisti e pennivendoli sono i sacerdoti; il culto e l'ossessiva destabilizzazione provocata dalle esternazioni del premier sono i fondamenti di questa religione reazionaria che è il berlusconismo per l'italietta contemporanea. Non un'ideologia, non una strategia di marketing:
una vera e propria religione imposta dalla televisione.
Il lungometraggio era stato mandato in onda in prima visione televisiva da SKY, la sera di pasquetta in prime time, suscitando la protesta del Pdl che aveva definito il film come ”inno alla violenza e incitamento implicito ad azioni efferate”, una “caduta di stile”, “cosa di pessimo gusto”; “dopo Annozero ora Shooting Silvio”.
Nel palinsesto dell'emittente satellitare erano previste altre repliche, una questo pomeriggio alle 17 e l'altra il 25 aprile. La contestata pellicola tuttavia non è andata in onda!
Nuovi rifornimenti di museruole in arrivo. Dopo Vauro, Carboni?
Il regista non parla di
censura, ma definisce, comunque, la cancellazione del film dal palinsesto "un fatto grave". E si dice "allibito" per il fatto che "il film sia stato bloccato non per quello di cui tratta ma perché non era opportuno mandarlo in onda in questi momenti delicati, dopo il terremoto in Abruzzo. In un paese in cui vanno in onda reality e spazzatura come La Fattoria, che non aiutano a pensare ma educano una generazione di tronisti, è di cattivo gusto solo un film come il mio che invece invita alla riflessione?".
"E' una scelta libera di Sky - continua Carboni - ma è il segno di un potere immanente. Sono preoccupato se questo potere tocca anche Sky, l'unica tv che negli ultimi anni ha dato visibilità a registi giovani e indipendenti e, insieme al ministero della Cultura, ha di fatto consentito la sopravvivenza del cinema giovane".
E' una prova, l'ennesima, di regime.
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