L'AltraSersale

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"Che cosa succede a un paese se alle elezioni i cittadini decidono in massa di votare scheda bianca?" - recita la quarta di copertina. Una domanda quantomai attuale di questi tempi di sfiducia nella politica. Ed è proprio questo che mi ha incuriosito e spinto a leggere Saggio sulla Lucidità di José Saramago, 2004 (Universale Economica Feltrinelli).

 

Che cosa succede se la maggioranza della popolazione della capitale di un paese occidentale decide di ricorrere al proprio diritto costituzionale di votare scheda bianca alle elezioni politiche?

In un giallo politico avvincente, Saramago descrive - individuando via via personaggi senza nome e senza volto, in un dialogo senza punti né virgole - il cortocircuito che scaturisce dal crollo di leggittimazione che il potere subisce dall'assenza di consenso elettorale.

In un seggio elettorale della capitale il presidente e i rappresentanti dei tre partiti - p.d.d. (partito di destra), p.d.m. (partito di mezzo) e il minoritario p.d.s. (partito di sinistra) - rimangono attoniti allo scrutinio: il 70% della popolazione ha votato scheda bianca!

Il Governo - a guida del p.d.d. - annulla la consultazione: è inammissibile che i cittadini non abbiano dato la loro leggittimazione al potere né al p.d.d. né al p.d.m., i principali schieramenti del paese. Seppure la Costituzione preveda il diritto alla scheda bianca si ripete il voto, senonché anche al secondo turno il risultato è sconvolgente: scheda bianca.

 

Il Governo e i suoi ministri non sanno come procedere. Accettare la protesta civica popolare, rassegnando le dimissioni, oppure costringere al ragionamento la schiera di rivoltosi che si è annidata nella capitale e che cospira contro il potere costituito?

Con fredda razionalità, il Ministro della Difesa e della Cultura spingono per una militarizzazione della questione: il Governo e le istituzioni abbandonano in massa la capitale che viene cinta d'assedio.

Lo scopo è fiaccare la protesta costringendo la città al caos e spingere la popolazione a invocare, implorare, il ritorno del Governo, del potere come qualcosa di necessario alla stessa sopravvivenza.

Ma la cittadinanza si auto-organizza per gestire i servizi: il pugno di ferro del Governo, più che spaventare, ha spinto la popolazione a costruire inconsapevolmente una città senza potere, un'anarchia (dal greco, assenza di potere) utopica, in cui i cittadini convivono svolgendo la propria funzione per la comunità.

 

Il Governo non può accettare tale sfacciato affronto e decide di infiltrare nella capitale assediata i servizi segreti per spiare e capire. Prima le discussioni nei luoghi pubblici, poi gli interrogatori di polizia e infine i rapimenti di civili per scoprire che se non esiste alcuna rivolta organizzata, nessuna parvenza di rivoluzione, nessun complotto politico contro il Governo: i cittadini, in modo autonomo e indipendente hanno deciso di votare scheda bianca senza che nessun partito, nessuna forza politica l'abbia ordinato come strategia di conquista del potere.

Tutto ciò spiazza il Governo: nessun avversario, in questa ipotetica guerra di posizione, nessuna 'normale' ambizione al potere che giustifichi azioni, reazioni, contromosse, guerriglie, strategie. Niente. Neanche un complotto internazionale.

Il Governo si ritrova così a muovere le pedine, tutte, le bianche e le nere, di una partita a scacchi in cui si perde la lucidità. Fallita la strategia della pressione sui 'biancosi' del ministro della Difesa, il ministro dell'Interno ordisce una strategia della tensione fatta di bombe nella metro; difronte al terrorismo di Stato e avendo compreso che i suoi compari di partito al governo sono disposti a tutto pur di ristabilire la normalità, il sindaco della città decide di abbandonare il potere, sopraffatto dalla violenza assurda del potere.

Lungo la spirale della follia che si scatena, il Governo dichiara guerra alla popolazione della capitale quando una lettera anonima giunge al Ministero dell'Interno, al Presidente del Consiglio e della Repubblica: c'è una donna - l'unica a non perdere la vista nell'epidemia di cecità che ha colpito il paese qualche anno prima (il riferimento è ai personaggi del precedente romanzo Cecità, 1995) - responsabile di un assassinio. Il ritratto perfetto del grande burattinaio della rivolta dei biancosi.

Il Ministro dell'Interno invia un ispettore per smascherare la donna e farne il capro espiatorio, il responsabile della rivolta, la brigatista del movimento. Anche se la donna è semplicemente una casalinga, che uccise i carcerieri che durante l'epidemia chiedevano agli altri ciechi favori sessuali in cambio di cibo.

L'ispettore indaga e riferisce che la donna e il suo gruppo di amici non sono altro che persone comuni, non sono minimamente responsabili né coinvolti nell'ipotetica congiura delle schede bianche. Ma il Ministro non vuole sentire ragioni: vuole ipotecare un sicuro successo politico e surclassare il suo primo ministro nella ricerca del potere. Ha bisogno di colpevoli e colpevoli ci saranno.

 

L'ispettore si rende conto delle assurdità delle ragioni che muovono le scelte del governo, dell'irrazionalità e della follia in cui il potere si è cacciato: un blitz per uccidere la donna. E decide di raccontare tutta la vicenda alla stampa.

Con le spalle al muro per le dichiarazioni dell'ispettore, il Governo fa chiudere il giornale e uccidere l'ispettore, anche se egli aveva servito col suo lavoro le istituzioni. Mentre l'articolo shock si diffonde volantinato dai cittadini, il Presidente del Consiglio defenestra il Ministro dell'Interno - reo di aver gettato nel ridicolo l'opera del Governo - e procede all'uccisione della donna, ingiustamente accusata di cospirazione.

 

Ciò che rimane di questo libro - oltre al ritmo assolutamente avvincente della narrazione, una scrittura senza punti né virgole, periodi lunghissimi nei quali il pensiero dei personaggi si fonde nei dialoghi, pennellate che rendono impossibile dare volti certi ai protagonisti - è una chiara dimostrazione di cosa può succedere in una democrazia.

 

In un sistema democratico ciò che rende leggittimo l'esercizio del potere è il consenso. E il voto è lo strumento principe, il più chiaro e numericamente rilevante per esprimere tale consenso alla classe politica.

In una brillante esposizione delle dinamiche politiche che ricalcano i fondamentali di scienza politica del Machiavelli, Saramago dimostra la separazione, lo scollamento, tra le logiche della 'partitica' e quelle che animano la politica - intesa come arte della gestione della polis, la città.

Nel machiavelliano scontro tra principi e segretari, tra fazioni e correnti, si scatena un moto centrifugo che porta il potere ad avvitarsi su se stesso: mancando un chiaro consenso elettorale il Potere, come un leviatano hobbesiano, cerca di leggitimarsi attraverso l'uso della forza. La spirale - di azioni poliziesche, la militarizzazione della faccenda, i servizi segreti alla spasmodica ricerca di un colpevole (che non c'è) - spinge il potere a dispiegare un armamentario di violenza, di tensione, di terrorismo che lungi dal riportare i cittadini vicino alle istituzioni ne scoraggia la collaborazione, il senso civico.

 

Un libro quantomai attuale in questa fase nella quale si moltiplicano gli appelli al voto, soprattutto al voto utile. Utile a chi? Ad un cambiamento reale dell'amministrazione o alla preferenza per schieramenti di poco differenti nei programmi e nelle scelte? Un voto per i partiti più grandi che poi si spartiranno i ruoli e le poltrone, oppure un voto dato a coloro che rappresentano una particolare visione della cosa pubblica?

Saramago non incita alla scheda bianca o all'astensione, al contrario egli ci mostra che in una spensierata domenica di calo di senso civico, quella in cui i cittadini decidono di non scegliere, il potere, liberato dal contrappeso del consenso non esita a usare strumenti turpi e violenti.

Saramago ci mostra cosa succede quando i cittadini si allontanano dalla politica, quando essi cominciano a pensare che "tanto sono tutti uguali". Quando sono convinti che il proprio voto non abbia la minima influenza sulla politica.

Saramago ci insegna che è importante esprimersi, scegliere la propria classe dirigente, perché è solo attraverso il voto 'consapevole', quello fondato su programmi e prospettive, che si argina la deriva autoritaria del potere.

Un saggio per non perdere la lucidità.

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