L'AltraSersale

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Perché «tifiamo rivolta» nel Movimento 5 Stelle.

Dal blog Indiaut:

Grillo si, Grillo no?

In questi primi giorni gli interrogativi sul fenomeno 5 Stelle si moltiplicano; ad una prima vista è indubbio che il Movimento abbia portato elementi di novità nel solito panorama politico italiano: gente nuova, idee diverse, scenari incalcolabili.

Il risultato elettorale, quel 25%, da a Grillo il pallino del gioco e ora il movimento ha la responsabilità di disegnare il futuro del paese.

Bersani ha già chiesto il sostegno di Grillo sulla base di sette o otto punti programmatici. E Grillo ha risposto che Bersani è un morto che parla e dovrebbe essere il PD a sostenere un Governo 5 Stelle. I primi effetti utili del massimalismo grillino sono: a) la pressione dei poteri forti (lobby finanziarie, massonerie, Vaticano e partner internazionali) per un "governissimo" di tecnici che continuino nell'agenda Monti; b) la propensione marginale di PD e PdL all'inciucio.

Né l'una né l'altra ipotesi sono benefiche per il paese. L'Italia ha bisogno di un governo che prenda delle decisioni, anche piuttosto radicali: green economy, crescita, riforme istituzionali, reddito di cittadinanza, critica del fiscal compact (riforma delle pensioni), contrasto al potere delle banche e sostegno della piccola e media impresa, scuola e sanità. Sono delle scelte che solo un 'governo nell'interesse del popolo' può prendere e che un governo dei tecnici o degli interessi di pochi non prenderà mai, vedi esperienze di Monti o della fu bicamerale di D'Alema-Berlusconi.

Per questo ci si augura che Grillo sostienga Bersani, o viceversa, l'importante è fare delle Politiche, non fare politica.

Invece Grillo sta giocando alla politica con un obbiettivo ben preciso: abbandonare Bersani ad un abbraccio mortale col PdL, fare del M5S il partito di opposizione e, sperando che l'inciucio provochi una profonda crisi sociale stile Grecia, ritornare al voto tra un anno e beccarsi il 40%.

Per capire ciò non bastano le dichiarazioni a caldo di Grillo o gli attacchi mediatici a chiunque critichi la linea oltranzista del movimento (Viola Tesi, elettrice grillina ha lanciato una petizione online per chiedere a Grillo di sostenere Bersani per non permettere il ritorno di Berlusconi, è stata aggredita sui social network). Non bastano nemmeno i mantra dei militanti: “Caro Partito Democratico, forse non ci siamo capiti: non facciamo alleanze con nessuno. La politica degli inciuci è finita. Valuteremo ogni singola proposta, ogni singola idea, e se la riterremo conforme alle esigenze dei cittadini la appoggeremo. Piantatela di chiamarci”.

Un massimalismo che è facile etichettare come miope e distruttivo. Ecco perché ci si augura che nel  movimento prevalgano gli interessi della base, ovvero dei cittadini, piuttosto che quelle del 'vertice'  (Grillo/Casaleggio) che puntano al tutto-o-niente tipico del poker. Noi tifiamo per una rivolta. Per capire occorre leggere qui di seguito le riflessioni (leggermente sintetizzate per esigenze di spazio) dei Wu Ming, collettivo letterario impegnato nei conflitti sociali.


«Sì, ma voi chi cazzo siete?» - direbbe il meno informato dei grillini.

Noi apparteniamo da sempre a una sinistra sociale diffusa, una sinistra «dei movimenti», tendenzialmente extraistituzionale. Chi parla lo fa sempre da un luogo preciso, da un corpo preciso, da un nodo della storia, da un insieme di interessi di cui è portatore, dall’interno di una classe sociale, di un sesso o di un genere. Il
discorso è sempre un discorso storicamente e socialmente determinato. Abbiamo preso parte a lotte per gli spazi sociali; contro diverse guerre imperialistiche; da precari abbiamo lottato sui nostri luoghi di lavoro;
per i diritti dei migranti, contro i CPT / CIE; contro privatizzazioni e tagli al welfare; abbiamo manifestato a
Praga nel 2000 contro il Fondo Monetario Internazionale, abbiamo partecipato alla «Marcia della dignità» zapatista dal Chiapas a Città del Messico.
Al G8 di Genova eravamo dietro la prima fila di scudi quand’è partita la carica di via Tolemaide.

Soprattutto, da anni cerchiamo di portare avanti una battaglia culturale contro le narrazioni del potere capitalistico.

La critica alle ambiguità del «grillismo» (inteso come struttura organizzativa e comunicativa, e soprattutto come orizzonte di discorso), alla sua natura di movimento «diversivo», è situata in tutto questo. E’ figlia di una lunga prassi, e di un approccio onestamente partigiano.

Con chi non ce l’abbiamo. Siamo convinti che il grillismo sia fondamentalmente un’ideologia e un racconto  del mondo di destra. Per noi il discorso di Grillo/Casaleggio è un mix di vari populismi e miti interclassisti, con fortissimi elementi di liberismo e addirittura di ideologia da destra «anarcocapitalista». Su alcune tematiche, come quella dell’immigrazione, tanto dal blog di Grillo quanto da certi meandri del suo moVimento sono partiti enunciati criptofascisti.

Il M5S ha molti attivisti e moltissimi elettori (almeno il 30%, secondo uno studio SWG) che vengono da sinistra e tuttora si considerano di sinistra.Se vedono in quel movimento un’alternativa da provare «la colpa di questo è delle sinistre, che fanno di tutto per risultare invotabili». Le alternative «a sinistra» sono state giudicate odiose oppure irrilevanti.
Ergo, non è con chi ha votato M5S che ce l’abbiamo. Non ce l’abbiamo nemmeno con la maggioranza degli attivisti: auspichiamo anzi che le energie convogliate dal dispositivo grillino sfuggissero a quella «cattura» e
si verificassero spaccature liberanti.

Perché l’Italia non ha avuto movimenti come Occupy? Il grillismo ha occupato con un discorso diversivo  (contro la «Kasta» invece che contro le politiche liberiste, contro la disonestà degli amministratori anziché contro le basi strutturali del sistema) lo spazio che in altri paesi europei è occupato da movimenti nitidamente anti-austerity, anticapitalistici.

Nel discorso grillino gli altri movimenti non esistono. Quando il M5s partecipa a una lotta avviata da altri, Grillo tende a descrivere quella lotta come se fosse patrimonio esclusivo cinque stelle: noi abbiamo usato i  nostri corpi per fermare il TAV, noi abbiamo fermato il ponte sullo Stretto, noi abbiamo vinto i referendum per l’acqua etc. Grillo ha «messo il cappello» o provato a mettere il cappello su quasi tutte le mobilitazioni e rivendicazioni dei movimenti sociali in Italia.

Uno dei motivi principali perché in Italia non siano nati movimenti radicali è l’antiberlusconismo, ovvero l’interpretazione destoricizzata (e quindi «berluscocentrica») dello sfascio italiano.

A partire dal ’94 quest’interpretazione si è diffusa a macchia d’olio nella sinistra, facendo scambiare l’effetto (l’avvento di Berlusconi) per le cause, che invece risiedono nella sconfitta dei movimenti di emancipazione degli anni ’60-’70, con conseguente festival trentennale di controriforme, privatizzazioni, concentrazioni di potere, corruzione, riduzione dei partiti a cosche mafiose etc.

Berlusconi è l’antropomorfosi degli anni Ottanta, guardi lui e vedi gli anni Ottanta. Non è una causa, ma una conseguenza. Aver concentrato tutta l’attenzione su di lui e sulle sue malefatte ha disarmato concettualmente la sinistra e i movimenti, impedendo di aggredire i nodi di fondo che generano i Berlusconi. Intendiamoci: non che la sinistra «ufficiale» avesse granché bisogno di essere disarmata; si stava già disarmando da sola.

Altre possibili cause: proprio la comparsa del Movimento 5 Stelle. Il Movimento 5 Stelle ha inquadrato le energie potenziali in una cornice di discorso ambigua e fondamentalmente di destra, oltreché dentro un’organizzazione settario-aziendale. La «cattura» grillina ha retroagito su una condizione di
debolezza, marginalità e riflusso del movimento altermondialista
(quello frettolosamente etichettato «no global»), nell'«aftershock» della batosta genovese. Il M5S, appropriandosi di parte dei discorsi altermondialisti
e proponendoli in un’altra chiave, ha dato il colpo di grazia a quell’ambito già sfiancato e deperito.

E’ almeno dal primo VDay che il grillismo cattura istanze degli altri movimenti. Un’altra osservazione è che, a giudicare dalle reazioni grilline a questo tipo di critica, si desume che con tutta evidenza non sanno
niente dei movimenti europei. Quel che è accaduto e accade in Spagna è sistematicamente ridotto a
violenza di strada. Idem per la Grecia: niente notizie su fabbriche gestite dai lavoratori. Grillo, loro unica fonte, ha più volte nominato Alba dorata ma non ha mai parlato di Syriza o degli anarchici.

Anche la conoscenza di #Occupy è pari a zero.

Questi elementi di complessità [che discendono dalla critica anticapitalista al sistema] non possono essere introdotti, perché incompatibili con la narrazione del Popolo «uno e indivisibile» che rappresenta in blocco la «società onesta» e si oppone ai «politici», alla «casta», ai «ladri» (che evidentemente non fanno parte del Popolo, chissà da dove sbucano!).

Perché questa narrazione rimanga in piedi, ogni nemico dev’essere esterno all’immagine di popolo che il movimento diversivo propaganda.

Ergo: niente contraddizioni di classe, niente interessi contrapposti, niente scontri dentro il Popolo.

Ergo, chiunque esprima una critica minimamente articolata è un «intellettuale radical-chic».

Anche questo è riconducibile al frame di destra: se viene espressa una critica al M5S che distingue (la base dal vertice, gli elettori dal capo politico, una causa dalle altre, una motivazione per il voto dall’altra, una destra da una sinistra), va subito «schiacciata» (nel senso di schiacciare una prospettiva, in modo da ammucchiare i diversi elementi di un’inquadratura) affinché tali distinzioni scompaiano, perché il Popolo è indiviso, non ha classi ed è animato da un’unica volontà di cambiamento etc. etc.

In fondo, se sul M5S avremo torto, a smentirci saranno i fatti e faremo una figura di merda. Inoltre, noi siamo irrilevanti. Che minaccia possono mai costituire quei movimenti radicali e controculturali, che in Italia tutti dichiarano morti e sepolti?

Forse dietro il successo del M5S c’è più incertezza e debolezza di quella che traspare, e anche un intervento estemporaneo da una posizione marginale può gettarci sopra un piccolo fascio di luce, che va subito offuscato alzando un polverone.

Insomma, sicuramente «noi siamo gli ultimi di un mondo», ma forse quel mondo tormenta la cattiva coscienza di qualcuno e…

Che significa, nel concreto, «tifare rivolta» dentro il M5S?

Significa dire: smettete di fingervi un monolite, riconoscete che dentro il «moVimento» ci sono  contraddizioni, tensioni divergenti, anche interessi contrapposti. Ad esempio, smettetela di mettere sotto il tappeto la polvere delle espulsioni avvenute in giro per l’Italia, i casi sono troppo numerosi perché la colpa fosse sempre degli espulsi.

E’ inevitabile che vi siano contraddizioni nel M5S, vista l’estrema contraddittorietà del discorso e del programma: liberismo e «beni comuni», «meritocrazia» e «reddito di cittadinanza», pulsioni libertarie e pulsioni forcaiole, afflato universalistico e invettive contro i migranti che insidiano le nostre donne o i romeni che «sconsacrano i confini della patria» (questo è Grillo in persona, o chi gli scrive i post), democrazia  «liquida» e uso verticale della rete, retorica dell’apertura e controllo rigido del trademark, un «capo
politico» che non è stato eletto ma è presidente de facto di entrambi i gruppi parlamentari… Su qualunque punto nevralgico si posi il dito, si tocca una contraddizione destinata ad acuirsi, perché una contraddizione può essere rimossa per qualche tempo ma non per sempre.

Quale delle due strade imboccherà il M5S dopo il suo boom nazionale, che inevitabilmente porta a maggiori responsabilità anche nelle città, sui territori?

Se prevarrà l’impostazione «anarco-capitalista» (richiesta di abolire tout court i sindacati, tagli per espellere dalla macchina dello stato i «parassiti», privatizzazioni etc.), di fatto il M5S si inserirà senza troppi scossoni nel solco dell’austerity. Sta già applicando l’austerity nelle amministrazioni locali che governa, in primis a Parma. Questo decorso lo auspicano settori di Confindustria.

Se invece prevarranno le rivendicazioni più «sociali» e «di sinistra», lo scenario è meno prevedibile. Quel che è certo è che le contraddizioni si acuiranno. Finora, Grillo è stato il garante simbolico e Casaleggio l’amministratore reale della compresenza di questo e di quello. Ora che si tratta di scegliere, per quanto tempo ancora riusciranno a esercitare quei ruoli?

Agli attivisti del M5S, anche ai compagni che si sono riposizionati nel M5S, noi diciamo questo: o si sceglie
l’anarcocapitalismo (tendenza che per sua natura porta a chiedere la privatizzazione di tutto e la distruzione del welfare) o si sceglie la difesa dei beni comuni, il reddito garantito etc. Tertium non datur
.

Qualunque tentativo di tenere insieme le due cose è destinato a naufragare. Non basta dirsi «non più di sinistra» o «né di destra né di sinistra» per occultare le faglie che, anche non viste, continuano a
produrre movimenti tellurici nel fondo della società. Non è gettando nella spazzatura il sismografo (presuntamente) obsoleto che si evitano i terremoti.

Per fare un esempio, cosa ne pensano i grillini del cancro della «sussidiarietà» che sui territori, pur conservando un’apparenza di «pubblico», sta di fatto divorando e privatizzando tutti i servizi sociali?

Dovrete scegliere. A imporvelo saranno le lotte stesse a cui state prendendo parte, a cominciare dai referendum contro i finanziamenti pubblici alle scuole private.

In ogni caso, noi tifiamo rivolta, e voi?

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Commento da Antonio Borelli su 1 Marzo 2013 a 15:21
Per capire Grillo bisogna analizzare bene la palingenesi del suo fenomeno.
Finora le analisi più convincenti sono quelle fatte da Wu Ming e ve le propongo qui di seguito:

«Destra» e «Sinistra» sono i nomi convenzionali di due diversi modi di leggere il conflitto sociale. «Di sinistra» è chi pensa che la società sia costitutivamente divisa da interessi contrapposti. Ci sono i ricchi e i poveri, gli sfruttatori e gli sfruttati, gli uomini e le donne.

«Di destra» è chi pensa che la nazione sarebbe – e un tempo era – unita, armoniosa, concorde, e se non lo è (più) la colpa è di forze estranee, intrusi, nemici che si sono infilati e confusi in mezzo a noi e ora vanno ri-isolati e, se possibile, espulsi, così la comunità tornerà unita. Tutte le destre partono da questa premessa, che può essere ritrovata a monte di discorsi e movimenti in apparenza molto diversi, da Breivik al Tea Party, dalla Lega Nord ai Tory inglesi, da Casapound agli «anarcocapitalisti» ad Alba Dorata. Per capire se un movimento è di destra o di sinistra, basta vedere come descrive la provenienza dei nemici.
A seconda delle fasi storiche, ce la si prende col musulmano o con l’ebreo, con il negro o con lo slavo, con lo zingaro o col comunista che «tifa» per potenze straniere. Con la «Casta» descritta come altro rispetto al popolo che l’ha votata ed eletta, «Roma ladrona», la finanza ridotta alle
manovre di «speculatori stranieri», «l’Europa»…

Non c’è dubbio che nell’Italia di oggi il discorso egemone, anche tra persone che si pensano e dichiarano di sinistra, sia quello di destra. Che attecchisce facilmente, perché è più  semplicistico e consolatorio, e asseconda la spinta a pensare con le viscere. Il fascismo è nato, esiste ed è continuamente reinventato dai padroni proprio per offrire ai ceti medi proletarizzati un «falso evento», un falso bersaglio, una finta rivoluzione dopo l’altra.
La classe capitalistica sa bene che i ceti medi quando si proletarizzano e si impoveriscono potrebbero «fare blocco» con gli operai e in generale coi lavoratori subordinati. Per impedire quest’alleanza, viene scatenata una multiforme offensiva ideologica e propagandistica: ad esempio, si dice al piccolo borghese che il suo nemico sono i proletari «garantiti» e i sindacati, e
al contempo, con il frame della «sicurezza», gli si dice che deve temere l’immigrato.
Ma questo non basta, perché è un discorso tutto difensivo, ce ne vuole anche uno offensivo, «massimalista», pseudo-rivoluzionario. Oggi quel discorso è quello contro la «Ka$ta», e il suo massimo spacciatore è Grillo, che è un portatore – forse nemmeno del tutto consapevole – di un’ennesima variante di fascismo. Attenzione, quando parlo di «fascismo» non mi riferisco al fascismo storico, a quello che si incarnò nel regime fascista e poi nella RSI.

Il paragone tra grillismo e fascismo è scivoloso, rischioso: è la storia del difficile e controverso rapporto tra rabbia giusta e rancore distruttivo, tra rivoluzione e reazione.


«Non siamo di destra né di sinistra». In giro per l’Europa, nuovi movimenti, anche molto diversi tra loro, si dichiarano non-appartenenti ad alcuno dei due campi politici. Dal nostrano Movimento 5 Stelle, si passa per i «Partiti dei Pirati» che hanno ottenuto buoni risultati elettorali in Germania e altri paesi, e si giunge ai cosiddetti «Indignati», movimento transnazionale che ha origini nelle rivolte nordafricane e nelle mobilitazioni spagnole partite il 15 maggio 2011.

«Ci sono due modi di non essere né di destra né di sinistra: un modo di destra e uno di sinistra».
Nel territorio dei nuovi movimenti, gli Indignados spagnoli sono un movimento egualitario, anticapitalista, non privo di interlocutori a sinistra e indubbiamente ostile a ogni destra politica e sociale.
C’è però un modo più «normalizzante» e di destra (nonché largamente maggioritario) di dichiararsi né di destra né di sinistra: «rossi e neri sono tutti uguali».
Si getta tutto nel mucchio, occultando il conflitto  primario – quello a cui i concetti di «Destra» e «Sinistra» continuano ad alludere, ossia la lotta di classe – in nome di surrogati, diversivi, conflitti sostitutivi come quello tra la «gente» e i «politici», la «casta» etc.
In uno spazio «né di destra né di sinistra», le energie di molti benintenzionati, in maggioranza giovani, sono incanalate in un discorso in cui sono rinvenibili elementi di criptofascismo. «Criptofascista» allude a un discorso cifrato, decrittando il quale si trova un animus fascistoide. Tale «cifratura» si riscontra nei movimenti di impronta qualunquista / poujadista / destrorso-populista etc. Tra questi, la Lega Nord. Il «grillismo» appare sempre più come un movimento di
destra: diversivo, sovente forcaiolo, indifferente a ogni tradizione (anche recente) culturale e di lotta, noncurante di ogni provenienza politica
.
La cifratura del grillismo è molto peculiare. Il movimento descrive se stesso con la retorica dei «processi dal basso» che il grillismo ha avuto in dote dai movimenti altermondialisti di inizio secolo e si è adoperato a ricontestualizzare.Per molti versi, il grillismo è un prodotto della sconfitta dei movimenti altermondialisti: ha occupato lo spazio lasciato vuoto da quel riflusso. Per citare Žižek: «Ogni fascismo è testimonianza di una rivoluzione fallita». L'analogia con il biennio rosso nel 1920-21 è evidente.

La retorica autoreferenziale e auto-elogiativa del grillismo è mistificante.
Presso il grillismo, l’individuazione del nemico è sempre diversiva. La «disonestà dei politicanti», i privilegi della «casta» etc. sono problemi veri, e al contempo falsi bersagli: le decisioni importanti sull’economia non vengono prese a Roma, perché il potere capitalistico sovranazionale non autorizza la politica in tal senso. «Ce lo chiedono i mercati» è il tormentone di un’epoca in cui la politica è esautorata.
Qualunque discorso sulla «Casta», anche quando basato su dati di fatto reali, alimenta una strategia di depistaggio e impedisce di individuare e attaccare i nemici veri.

I movimenti che si concentrano a lungo su falsi bersagli diventano «fedeli a falsi eventi».
Falso evento è anche la «rivoluzione di Internet» come la descrive il grillismo: positiva, salvifica, la
risposta a ogni problema. La Rete diventa una sorta di divinità, protagonista di una narrazione escatologica in cui scompaiono i partiti (nel senso originario di fazioni, differenze organizzate) per lasciare il posto a una società mondiale armonica, organicista. L’utopia di un uomo è la distopia di un altro: il video «Gaia. Il futuro della politica», della Casaleggio&Associati, la dice lunga sull'utopia grillina, una sorta di «modernismo reazionario».


Nell’era della crisi della rappresentanza politica, spunta un movimento carismatico che in nome della “democrazia diretta” punta tutto sulle elezioni per costruire il rinnovamento.
È una contraddizione non da poco: Grillo all’inizio affrontava i temi della globalizzazione, spiegandoci che il vero potere si trovava altrove: contava di più il modo di fare la spesa che la scheda nell’urna.
E invece, negli ultimi due anni, il Movimento 5 Stelle non fa altro che organizzare campagne elettorali permanenti, compilare liste di candidati, polemizzare con gli altri partiti. Paradosso nel
paradosso: Grillo – capo carismatico, trascinatore di masse e fondatore del Movimento – non si candida e trae forza dal non mescolarsi con “la politica”. In questo modo è come se tutti i candidati fossero Grillo.

Questo avviene oggi con il Web 2.0. Saremmo degli ingenui se pensassimo che un paese egemonizzato dalla televisione all’improvviso diventasse il laboratorio della comunicazione interattiva. E' una menzogna dividere con l’accetta i media, come fa Grillo, dicendo che da una parte c’è “la Rete” e dall’altra “la Televisione”. I media si muovono nello stesso ecosistema.
Ogni giorno 14 milioni di italiani, un numero impressionante, si collega a Facebook e si mette in questa gigantesca vetrina. Pensano di diventare famosi? Ovviamente no. Ma giocano a esserlo. Allo stesso modo, molti giocano a fare la Rivoluzione a 5 Stelle, postano messaggi indignati, si mostrano attenti alle cause più disparate. Non tutti saranno prigionieri di questo schema, ma ha prodotto il boom elettorale di Grillo. Tant’è vero che all’esplosione di consensi per il M5S non ha corrisposto un aumento dell’attività dei MeetUp o una maggiore partecipazione dal basso.

Il problema nasce quando la massa entra in Rete, proprio in quanto “massa” indistinta, senza coscienza di essere “parte” o di rappresentare un preciso interesse o almeno una determinata cultura. Dal punto di vista culturale, non tecnologico, un nuovo mezzo di comunicazione si afferma solo quando è in grado di rispondere alle domande che aveva suscitato quello precedente.

È solo questione di rappresentazione e voti, cioè di delega e non di reale democrazia diretta.
Dove ci sono movimenti veri, i grillini non attecchiscono, o almeno non sfondano “a sinistra”. Nelle terre dei No Tav i 5 Stelle hanno preso molti voti alle regionali, ma a quei voti non corrisponde mobilitazione reale. Quella di votare Grillo e non votare i partiti della fu sinistra è stata una scelta tattica da parte di una parte di un movimento autonomo e autorevole, che non si fa incantare da Grillo ma gli è riconoscente per aver parlato della TAV.
Il fatto che i partiti abbiano abdicato ai diktat della BCE e poi al commissariamento imposto da Napolitano e Monti, parallelamente al crollo della Lega e del Pdl, hanno creato le condizioni per il boom elettorale del Movimento 5 Stelle.
Il risultato è, ancora una volta, paradossale: in tutta Europa la gente protesta contro le politiche di austerità, tenta di organizzarsi dal basso; in Italia, dove esiste una certa tradizione quanto a movimenti sociali, tantissime persone che potrebbero mobilitarsi aspettano il giorno delle elezioni, per sostituire quelli della “Casta” con altri eletti. Come se questo davvero potesse cambiare la situazione.
Grillo non risponde alla domanda “Come facciamo a costruire altre relazioni di potere e di produzione?”. Oppure, non si chiede: “Come si fa a ottenere una più equa distribuzione della ricchezza?”. La domanda alla quale risponde Grillo è “Come si fa ad andare nei palazzi del potere al posto di quelli là?”.

La non-risposta a queste domande si trova nel cosiddetto troll grillista - nel gergo delle comunità virtuali, una persona che interagisce con gli altri utenti tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi (fonte Wikipedia). Se si chiede che cosa convince particolarmente del programma del Movimento 5 Stelle la risposta è: “Ci ha fatto vedere la luce. Per noi Grillo è una luce in fondo al tunnel”. “La democrazia partecipata è un concetto unitario e unificante”. Ecco degli esempi di “idee senza parole” dei grillini. Alla radice della loro ideologia pret-a-porter c’è qualcosa di inspiegabile, inesprimibile, irrazionale. Altro che intelligenza collettiva: Grillo muove emozioni, dà vita ad un impasto di politica, spot pubblicitari e sentimenti.
Il problema è che abbiamo chiuso frettolosamente l’era berlusconiana, non abbiamo capito cosa abbia significato davvero, che scorie culturali abbia lasciato nel nostro paese.

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